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Dietro un velo di ghiaccio

Francesca Akira89




CAPITOLI



-Capitolo 6-



Un ragazzo, solo.
Era in piedi su uno spuntone roccioso, coperto appena da qualche filo d’ erba
sopravvissuto al freddo e da un lieve manto di neve, che si affacciava su un
burrone d’ altezza considerevole.
In fondo, giù giù, s’ intravedeva una pozzanghera d’ acqua turchese, la cui
superficie sembrava intorbidarsi insolitamente a causa del velo di ghiaccio (
 nda) appena accennato che vi si adagiava sopra.
E lui se ne stava lì, a pochi passi da quel baratro.
Tanto tempo, immenso dolore per mettere al mondo una briciola di carne, solo
pochi istanti di estasi per spegnerla per sempre. (e questa da dove t’è
uscita?? O.O ndtutti_scioccati) (Mai sentito parlare della famosa saggezza
occidentale? V_V nda) (Veramente.. NO! O.o” ndtutti) (siete delle piaghe, lo
sapete? -.-* nda) (ma qui nessuno ha voglia di sapere se alla fine mi butto di
sotto o no?! ç_ç ndragazzo)
Il ragazzo non guardava in basso; teneva lo sguardo fisso davanti a sé, le
labbra strette con tutta la forza che possedevano. I suoi piedi sembravano
radicati al suolo, e il suo corpo stesso era perfettamente immoto come una
statua di ghiaccio. Non un fremito di ciglia, un respiro troppo brusco o
improvviso, tradivano il suo essere vivo, sebbene gli occhi fossero spalancati
e lucenti, illuminati dalla luce dell’ alba.
Che strana mattina era quella…
Il sole splendeva in tutto il suo pallido splendore, diffondendo un clima
stranamente secco per Mosca.
Sembrava che la natura stessa partecipasse alla Sua immobilità.
Di colpo, a sorpresa, il ragazzo chiuse gli occhi e socchiuse le labbra:

- Kaze…

Un sussurro.
Un anelito.
Un vento fortissimo si risvegliò dal nulla, scuotendo le cime degli alberi
intirizzite di ghiaccio e disturbando il sonno degli uccellini addormentati nei
loro nidi.
Le ciocche di serici capelli neri gli volarono davanti al volto, celando,
gentili, le lacrime che avevano preso a scorrergli per le guance.

**

- Andrew…! Ralph…! Ma che state facendo?

I due europei si riscossero e fissarono confusi il signor Jurges, che si era
lievemente proteso in avanti per guardare dentro la macchina:

- Vi eravate addormentati?.. Su muovetemi, siamo arrivati!

Andrew sbuffò e seguì l’ amico fuori dall’ auto, immensamente seccato.
Quel giorno, purtroppo, una “gita” all’ Hito Enterprise non era proprio
riuscito ad evitarla.
Ralph gli aveva fatto una testa così su quanto si stesse rendendo ridicolo, su
come apparisse infantile e su come stesse facendo sfigurare la sua azienda e
quella di suo padre.
Insomma, alla fine, a forza di parlare, rimproverare ed esasperare, era
riuscito a convincerlo a venire con loro.
Era uno strano posto, quello. A prima vista sembrava una specie di monastero,
ma tale impressione svaniva non appena si varcava il portone d’ entrata.
Era pieno di gente che correva di qua e di là, scienziati in camice bianco (o
forse erano medici?..), tizi vestiti in modo strano, e.. ragazzi.
Che strano… Era pieno di ragazzini di tutte le età...
Bè, quasi. La maggior parte doveva essere compresa fra i diciassette e i
ventiquattro anni, ma ce n’ era anche qualcuno che non poteva avere più di
quindici anni.
Perché mai Hito Hiwatari avesse chiesto ai suoi colleghi di incontrarsi in un
posto del genere, non l’ aveva ancora capito. Aveva già un impegno lì, gli
aveva detto Ralph.
L’ utile al dilettevole, come si suol dire.
In realtà non aveva neanche capito che razza di posto fosse quello, ma in fondo
neppure gliene importava. Anche perché, solo la sera prima, era successa una
cosa che l’ aveva lasciato un po’ stranito…


***(attenzione! Questo è il ricordo di Andrew!)***


Come accidenti funzionava quell’ aggeggio?!
Era già la terza volta che provava a regolare la temperatura del condizionatore
senza riuscirci, ma in compenso scottandosi o ricevendo un getto d’ aria gelida
in faccia.
In realtà non è che fosse un completo incapace. Sapeva benissimo far funzionare
un condizionatore d’ aria… a casa sua.
Ma quella era una marca insolita, così come era insolito il modello,
proveniente dal Nepal o qualcosa del genere (a giudicare dalle scritte che,
forse, spiegavano il funzionamento), totalmente sconosciuto per lui.
Non c’ erano neanche simboli che lasciassero intendere la funzione delle
centinaia di manopole che facevano bella mostra sulla superficie laccata.
Aveva premuto distrattamente un tasto e all’ improvviso quell’ affare aveva
smesso di funzionare. Risultato: la sua camera si stava trasformando in un
frigorifero.
Stava quasi pensando di inghiottire l’ orgoglio e andare a chiedere aiuto a un
domestico, quando lo sguardo gli cadde fuori dalla finestra (sotto cui era
posizionato il condizionatore), e intravide (chi, direte voi..? nda) Rei
intento a cercare qualcosa nella neve.
La luce del sole al tramonto, che insanguinava il colore candido del manto di
neve, lo illuminava di un vago bagliore aranciato. (a questo punto pare ovvio
ipotizzare che Rei praticamente viva in giardino… -.-“ nda) (^^’ ndRei)
Era a così poca distanza da lui che avrebbero potuto conversare senza problemi,
e in fondo sarebbe stato meno umiliante chiedere consiglio a lui che non ad un
domestico.
Aprì la finestra (tanto non gli interessava che entrasse il freddo, visto che
lì dentro ormai già si gelava), e stava per chiamarlo, quando una voce
giovanile lo bloccò sul nascere:

- Ni jin wuan hao ma?*

Eh?!..
Alzò lo sguardo da Rei e, con un gesto quasi istintivo, si accostò a un angolo
della finestra.
Il ragazzo dagli occhi d’ oro si voltò, sorpreso, e poi fece un mezzo sorriso,
scorgendo chi gli era arrivato alle spalle:

- Ah, ciao! Io bene..

Il ragazzo dai capelli color lavanda e gli occhi così simili ai suoi, che aveva
appena pronunciato quella strana frase in una lingua a lui sconosciuta,
sorrise a sua volta di un sorriso che non gli piacque affatto:

- Ah, perfetto…- disse, con un tono che gli parve vagamente ironico.

- Come mai sei qui?- chiese Rei.

- Devo…- lo sguardo del russo cadde sulla finestra alle spalle del “cinese” e
il ragazzo si bloccò, scorgendolo.

Perplesso, Rei si voltò a sua volta verso di lui, ed Andrew, sentendosi
avvampare per la vergogna, scivolò completamente dietro la tenda, scomparendo
alla vista.


Gli venne quasi voglia (di nuovo) di prendere a calci qualcosa, al ricordo di
quella figuraccia.
Ma la cosa che gli faceva più rabbia era il non essere riuscito a scoprire chi
fosse quel tizio.
Aveva chiesto a Ralph, ma lui si era limitato a fissarlo con occhi vacui,
dicendogli di non aver visto nessuno.
Ad altri non poteva chiedere, né tanto meno a Rei, perché sarebbe stato
ammettere che lo stava spiando, ragion per cui la misteriosa identità del russo
(perché era certo che fosse russo, anche se la lingua che aveva usato per
salutare Rei non era certo quella moscovita) era rimasta misteriosa.
Ma poi a lui che gliene importava..?!
Oh, aveva una tale confusione in testa!
Sospirando, si guardò intorno. Era finito in una specie di biblioteca, o almeno
un luogo pieno di schedari e tabulati ordinatamente disposti in scaffali di
legno.
Ci mise qualche secondo a capire che, a forza di rimunginare, aveva perso di
vista Ralph e gli altri, e almeno qualche minuto ad accorgersi di non essere
solo…



NOTA DELL’ AUTRICE

Della serie “quando si scrive forzatamente esce solo un mezzo schifo”, ecco a
voi il sesto capitolo! -.-“ ç_ç
* La frase che Boris (perché avete capito che si tratta di Boris, vero? -.^)
dice a Rei significa “Come stai, stasera?” in cinese.
Grazie per i vostri commenti; ç.ç non li merito…! Del resto avevo deciso di
lasciar stare questa ff fino alla fine di TD, ma purtroppo la mia testa malata
ha deciso diversamente, con risultati, come vedete, disastrosi.
Ciao… V_V



 

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