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Like a fairy tale

Misty




CAPITOLI



8. Cerulean City Hospital

Tremando lievemente, Misty scende dalla propria auto e si dirige verso
l’ospedale. Le porte scorrevoli di vetro si aprono automaticamente al suo
passaggio. Dopo essersi guardata attorno smarrita per un istante, Misty si
rivolge alla donna seduta dietro un lungo bancone di legno candido.

«Mi scusi…» mormora, avvicinandosi «Io… dovrei vedere un paziente… Ketchum, Ash
Ketchum…»

La donna la guarda. Dall’espressione del suo volto si capisce che vorrebbe
essere già a casa. «È una parente?»

«Sono sua moglie.» afferma Misty.

Senza dire nient’altro, la donna digita svogliatamente qualcosa sulla tastiera
del proprio computer. «Primo piano, stanza trentotto.» afferma poi, con voce
piatta.

Dimenticando di ringraziare, Misty si dirige verso le scale e sale i pochi
gradini tenendosi strettamente aggrappata al corrimano. Ha la sensazione che le
sue gambe possano cedere da un momento all’altro.

Un corridoio bianco, interminabile. Misty legge i numeri delle stanze.
Trentacinque, trentasei, trentasette…

Trentotto.

Entra, quasi trattenendo il respiro. Non appena i suoi occhi mettono a fuoco la
figura inerte distesa sul letto, le sue ginocchia si piegano di colpo. È
costretta ad aggrapparsi con tutte le sue forze allo stipite della porta, per
non piombare a terra di schianto.

«Ash…»

Ash giace immobile fra le lenzuola azzurrine, le ciglia abbassate contro le
guance pallide come la cera. Bende candide gli avvolgono la fronte, l’ago di
una flebo è conficcato nel suo braccio. Una mano priva di vita è abbandonata
sulle lenzuola.

Tremando violentemente, Misty si avvicina e prende quella mano fra le sue,
sedendosi sulla sedia di fianco al letto.

«Ash.» sussurra, con un filo di voce «Ash sono io, sono Misty… Ash…»

Ash non ha alcuna reazione. Misty tende lentamente una mano verso di lui, per
accarezzargli il volto; ma si ritrae un attimo prima di sfiorare la sua
guancia, senza riuscire a toccarlo.

Scuote la testa, cercando di impedire alle lacrime di caderle sulle guance. «Ti
prego…» mormora «Ti prego non puoi farmi questo… non puoi lasciarmi di nuovo…»

Una lacrima le cade dall’angolo di un occhio. Stringe forte la mano inerte di
Ash fra le sue. «Ti prego, Ash…» ripete «Avanti… mi avevi promesso che non mi
avresti mai lasciata sola, ricordi? Io… non posso prendermi cura di Ashley… non
posso andare avanti senza di te… ti prego…»

Il volto di Ash rimane pallido e immobile.

«Io ti amo, Ash…»

Misty si prende il capo fra le mani, scoppiando in singhiozzi. Le lacrime,
inarrestabili, le scivolano tra le dita, cadendole sulle ginocchia e disegnando
minuscole macchie scure sulla stoffa dei suoi pantaloni.

«Ti amo…»

Qualcuno entra con discrezione nella stanza. Misty alza la testa, distinguendo
attraverso la foschia indistinta delle lacrime un medico in camice bianco.

L’uomo le si avvicina con affetto di circostanza, con premura convenzionale.
«La signora Ketchum, immagino.» afferma.

Misty annuisce. «Sì. Mi scusi…» mormora, cercando senza successo di asciugarsi
le lacrime contro la manica della giacca.

«Oh, no, non si preoccupi per quello.» si affretta a rassicurarla il medico,
scuotendo la testa.

«Mi dica come sta.» mormora Misty, guardandolo negli occhi.

«Sì, certamente.» l’uomo in camice bianco annuisce «Le condizioni di suo marito
sono stabili, ma purtroppo, come credo che lei sappia, è entrato in coma e non
possiamo prevedere quando si sveglierà. Il trauma cranico provocato
dall’impatto con il parabrezza è grave. Suo marito potrebbe svegliarsi da un
momento all’altro, oppure…»

«Oppure…?» lo esorta Misty, per nulla sicura di voler sentire la risposta.

«Oppure fra giorni, o fra settimane.» afferma il medico in tono rassegnato.

Misty abbassa lo sguardo. «Potrebbe anche…?» mormora, senza riuscire a
completare la domanda.

«Che cosa vuole sapere?» chiede il medico.

«Potrebbe anche…» Misty si morde le labbra, i suoi occhi si riempiono
nuovamente di lacrime «Potrebbe… non svegliarsi mai? La prego… mi dica di no…»

«Questa è una possibilità molto remota, signora.» afferma il medico.

«Ma… è comunque una possibilità.» Misty alza la testa verso di lui «Giusto?»

Il medico esita. «Signora, ci sono ottime probabilità che suo marito si
risvegli presto dal coma.» dichiara, senza fornire tuttavia una risposta chiara
alla domanda postagli da Misty.

Lei non risponde. Volge lo sguardo in direzione del volto cereo di Ash, poi
cerca di alzarsi. La stanza prende a vorticarle attorno.

Il medico si affretta a sostenerla e la aiuta a sedersi di nuovo. «Resti
seduta.»

Misty scuote la tesa, fissando senza espressione la figura immobile di Ash fra
le lenzuola azzurre. Un istante dopo scoppia in singhiozzi.

«Vuole che la lasci sola?» chiede premurosamente il medico.

«Sì… grazie…» Misty annuisce «Per favore.»

Il medico esce dalla stanza. Rimasta sola, Misty prende nuovamente la mano di
Ash fra le proprie, e ne bacia le dita, continuando a singhiozzare.

«Ti prego…» sussurra «Ti prego amore… d-dimostrami che quello che ha detto il
medico non è la verità, apri gli occhi… ti prego… Ash mi dispiace, ti prometto
che non farò mai più una stronzata simile… ma adesso ti prego… apri gli occhi…
svegliati…»

Si passa una mano sul viso, ma le lacrime continuano a caderle inarrestabili
sulle guance. «Non pensi ad Ashley?» singhiozza «Mi avevi promesso che non mi
avresti mai lasciata sola… me l’avevi promesso…»

Abbassa lo sguardo.

«Non puoi lasciarmi sola.» mormora, con voce così bassa che anche se Ash fosse
cosciente non riuscirebbe a sentirla «Non di nuovo. Non ricordi che cosa ho
fatto?»

Lascia la mano di Ash, e stringe le dita attorno al polso sinistro, a coprire
la cicatrice sottile.

«Non lo ricordi?»

Avrebbe il coraggio di farlo di nuovo, se Ash non dovesse farcela? Sarebbe così
difficile riaprire quella ferita, ripercorrendo il segno chiaro della
cicatrice, con la lama affilata di un rasoio?

Scuote la testa. «Non posso farcela da sola… lo sai…»

Un’altra lacrima le cade sul volto, scorrendo lentamente lungo la sua guancia e
tracciando sulla sua pelle una scia bruciante.

«Non posso…»


 

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