FANFIC

A FEAST FOR ME

Misty




- A FEAST FOR ME
Pensieri e riflessioni di House nella notte della vigilia.
[ Autore: Misty ] [ Rating: PG ] [ Genere: Introspettivo, Sentimentale ] [ Capitoli: 1 ]



Fanfic partecipante alla seconda edizione del Contest (Xmas Edition)

***


Well there’s a feast for me, but it’s a night so pale
Feels like an empty room where we could kill with words
You wish you could make believe that I’m what you want me to be
But these balloons around make me feel so sad…


(Elisa, A feast for me)

Percorse la stanza vuota con uno sguardo vagamente disinteressato. Fuori, decorazioni natalizie rosse e oro risaltavano sulle facciate delle case e le mille luci colorate animavano i vetri di riflessi che li facevano apparire quasi dotati di vita propria; un contrasto quasi brutale con l’aspetto di quelle stesse case in un altro periodo dell’anno.
Avrebbe soltanto voluto… oh, non lo sapeva bene neppure lui. Forse soltanto che facessero silenzio tutti quanti. Forse che si rendessero conto che dietro festoni e ghirlande di agrifoglio esisteva ancora la solita realtà quotidiana e che quel velo di dorata ipocrisia che copriva ogni cosa come la neve che cadeva lenta dal cielo sarebbe stato lavato via proprio come la neve.
«Non cambi mai, tu. Neppure a Natale.» gli aveva detto Stacy una volta. Lei non la pensava in quel modo, adorava le feste natalizie e così ogni anno la vedeva irrompere in casa la mattina dell’otto dicembre trascinandosi dietro un abete un po’ spelacchiato, e la guardava mentre si dava da fare per trasformarlo in un albero di Natale scintillante di nastri e decorazioni. Gli parve che da allora fosse passato moltissimo tempo, secoli forse, nonostante una parte di lui sapesse fin troppo bene che non era così, perché ancora contava i giorni da quando se n’era andata ed ancora nonostante gli anni che erano passati gli capitava talvolta di svegliarsi ed allungarsi verso il lato del letto in cui lei avrebbe dovuto dormire, cercando il calore del suo corpo, prima di ricordarsi che non era lì.
Quella volta Stacy gli aveva detto quelle cose e la sua voce voleva sembrare scherzosa, però lui aveva visto che aveva qualcos’altro negli occhi, qualcosa che somigliava ad un malinconico disappunto. Allora, quando lei aveva sospirato e si era voltata a guardare la neve che cadeva fuori dalla finestra, aveva attraversato la stanza per raggiungerla – non aveva bisogno del bastone allora – ed aveva appoggiato le mani sui suoi fianchi, fasciati da una gonna rosso scuro.
«Cambiare?» le aveva detto «Che divertimento ci sarebbe?»
Stacy si era voltata e gli aveva sorriso rassegnata, scuotendo la testa. «Sei un bastardo.» aveva sussurrato e poi si era alzata sulle punte dei piedi per chiudergli la bocca con un bacio.
Era la notte della vigilia. Stacy l’aveva abbracciato ridendo e l’aveva spinto all’indietro sul divano, ed avevano fatto l’amore. Dopo, lei gli aveva dato il suo regalo, un orologio che doveva esserle costato veramente molto, e che aveva ancora, era in un cassetto del suo comò nascosto da una pila di roba sotto la quale nessuno si sarebbe preso la briga di frugare. Lui compreso. Ma quella notte, neppure per un secondo aveva pensato che un giorno sarebbe finita.
Da quando si erano lasciati evitava di rievocare quel ricordo, perché era uno di quelli che facevano più male. Specie dopo che l’aveva riavuta per sé per un po’ prima di riuscire a trovare il modo di rovinare tutto un’altra volta, dall’idiota innamorato della solitudine e del dolore che era. Ma le luci e le decorazioni del Natale gliela riportavano davanti agli occhi, così come l’aveva vista quella notte, con la gonna di velluto rosso che le arrivava alle ginocchia e le calze di lana, il dolcevita nero che disegnava stupendamente la sagoma perfetta del suo corpo ed i capelli castani che le arrivavano alle spalle, una ciocca che le era caduta davanti agli occhi quando si era girata per baciarlo.
Persino l’ospedale era addobbato. E dire che aveva sperato di potersi rifugiare almeno lì quando il silenzio delle sue stanze vuote era diventato troppo da sopportare, in una casa che era l’unica dell’isolato a non portare traccia delle feste natalizie.
«House?»
Si voltò, dimenticandosi per un istante di Stacy. C’era Cameron sulla soglia, infagottata in un cappotto marrone un po’ troppo grande, che la faceva sembrare più adorabile del solito. Lui l’aveva sempre pensata così, con quell’aggettivo. Adorabile. Sexy no, non le rendeva giustizia. Forse l’aveva pensato all’inizio, ma “sexy” era quello che si poteva pensare di lei se la si conosceva solo esteriormente, ma c’era di più e lui lo sapeva. Conoscere l’amore che aveva dentro, e la sua incredibile voglia di dare, rendeva l’aggettivo “adorabile” l’unico che potesse descrivere quello, e poi allo stesso tempo anche quegli occhioni ed il modo in cui sapeva guardarti.
Sospirò.
«Che c’è?»
Cameron avanzò di un passo nella stanza, le mani calcate nelle tasche del cappotto ed un cappello di lana grigia calato sui capelli. Attorno al collo portava una sciarpa dello stesso colore. «Mi chiedevo se… allora non ti va proprio di venire?»
House inarcò le sopracciglia. «A spassarmela con te e gli altri e far finire i miei soldi nelle tasche di chi trae vantaggio dalla festa più consumistica dell’anno? Grazie ma ho modi migliori di impiegare il mio tempo.»
«Tipo? Startene qui e farti del male ripensando al passato?» disse lei. Gli si avvicinò e tolse le mani dalle tasche, così che House vide che aveva anche i guanti in tinta. Per qualche motivo, la cosa lo fece sorridere.
«Tipo starmene qui ed aspettare che arrivi qualche paziente moribondo.» ribatté, domandandosi come avesse fatto lei a indovinare i suoi pensieri «Sai, siamo in un ospedale. Qualche volta succede ancora. O pensi che la gente non si ammali più di qualche strana patologia solo perché siamo a Natale?»
Cameron scosse la testa. «Tu sei proprio impossibile.» affermò, rassegnata «Mi domando come faceva Stacy a sopportarti, quando stavate insieme.»
La risposta tagliente che House aveva in mente si spense a quelle parole ed il suo sguardo si rabbuiò per un istante. Cameron se ne accorse e gli si avvicinò ancora, fino a che la distanza che li separava non si ridusse ad un metro o poco di più.
«Stacy.» disse piano «Stavi pensando a lei, non è vero?»
Lui tacque.
«Sai…» proseguì Cameron «…le feste natalizie dovrebbero essere il periodo più felice dell’anno ed invece mi fanno solo ripensare a mio marito. Sai, prima che ci sposassimo noi… convivevamo e lui adorava il Natale e così avevamo addobbato tutta la casa. La notte di Natale spuntò fuori con un cappello da Babbo Natale sulla testa e mi mise in mano un anello di fidanzamento. Io… allora sapevo già che aveva il cancro e che non gli restava molto da vivere, però… dissi di sì.»
Si interruppe e per un istante House fu certo di aver visto un velo sottile di lacrime scintillarle negli occhi. Quando lei tornò ad alzare lo sguardo verso di lui, però, i suoi occhi azzurri erano perfettamente asciutti.
«Come vedi, non sei l’unico qui con dei tristi ricordi.»
House non seppe cosa replicare. Cameron rimase lì in piedi, come se si aspettasse che da un momento all’altro lui avrebbe afferrato il bastone e si sarebbe alzato per festeggiare il Natale con lei e con gli altri, Chase e Wilson e Foreman e la Cuddy, che di sicuro erano da qualche parte e la stavano aspettando, in quel momento. House però si limitò a ricambiare il suo sguardo dalla poltrona su cui era sprofondato e Cameron sospirò, comprendendo che non avrebbe ottenuto nulla neppure se quella stupida situazione di stallo fosse rimasta tale per tutta la notte.
«E va bene.» disse «Me ne vado.»
House annuì.
Lei indietreggiò di un passo verso la porta, poi si fermò di nuovo. House la guardò.
«Che altro c’è?»
Cameron rimase dov’era, lo sguardo che indugiava sulle piastrelle bianche del pavimento. House emise un rumoroso sospiro e visto che lei ancora non se ne andava, recuperò il bastone e si alzò per andarle incontro e mentre lei iniziava a dire qualcosa la azzittì con un bacio.
Quando si staccò da lei, Cameron lo guardava con gli occhi spalancati e le labbra dischiuse, come se fosse stata sul punto di dire qualcosa, ma non riuscisse a trovare la voce.
House alzò le sopracciglia. «È quello che volevi, no?» sbuffò, guardandola «Un regalo di Natale…»
Lei ancora non disse niente e House indicò la porta con un cenno del capo. «Avanti.» disse «Vai a divertirti! Gli altri ti staranno aspettando.»
Cameron si riscosse ed il suo sguardo tornò verso il pavimento, mentre una tenue sfumatura di rosso le colorava le guance. «Va bene.» disse, ma si fermò di nuovo sulla soglia e si voltò indietro, la mano inguantata appoggiata sullo stipite.
«Allora non…?»
«Vai!» ripeté House. Lei lo guardò negli occhi per un istante, poi annuì, rassegnata, e si avviò per il corridoio con lo sguardo basso.
La mano di House corse verso la tasca della giacca, le dita si strinsero attorno alla forma familiare del flacone di pillole che non aveva mai smesso di prendere, dall’operazione alla gamba. Se ne fece scivolare una manciata sul palmo. Poi il suo sguardo tornò verso la porta, e scosse la testa.
«No.» mormorò «Stasera no.»
E si sedette, lasciando cadere il bastone.

Should I take the blame, should I feel the pain
Or should I feel regret for what I haven’t done…?


(Elisa, A feast for me)

FINE