FANFIC

Pull ne through

Juuhachi Go




«Haruka-papa…?»
Haruka si mosse fra le coperte quando un lampo illuminò la stanza di luce cruda. Mentre Michiru sistemava un braccio attorno alla sua spalla e le si appoggiava contro con un mugolio assonnato, un tuono fece tremare i vetri imperlati di pioggia.
«Michiru-mama?» azzardò Hotaru, con una certa fretta di sentirsi al sicuro: i tuoni non avrebbe mai imparato a sopportarli. Premette le mani sulle orecchie e attese.
Però temette che la sua voce si fosse mescolata al boato, perché nessuna delle due sembrò muoversi di un millimetro. Si chiese come potessero dormire con tutto quel fracasso.
Non si mosse neanche lei.
Un altro lampo squarciò la notte. Aveva tre secondi per andarsi a infagottare fra le coperte. No, due, si disse, ciabattando goffamente verso la porta.
Il tuono, quel delinquente, le arrivò alle spalle, la azzannò a tradimento e le fece drizzare i capelli, proprio mentre faceva attenzione a evitare le pantofole delle due, appoggiate ai piedi del letto.
«W-wah!» sobbalzò: ci aveva giusto messo il piede sopra. Le ciabatte non gradirono affatto la scortesia e scivolarono lontano, lasciando la povera Hotaru a capitombolare sul pavimento. Bilancio: una sedia travolta, insieme ai vestiti che Haruka vi aveva accuratamente ripiegato sopra, più il disegno delle pianelle stampato sul naso, con buona pace del riposo di Haruka, Michiru e, probabilmente, di tutto il vicinato.
Il braccio di Haruka si mosse d’istinto verso l’abat-jour. Michiru, buttando indietro la zazzera azzurra di capelli che le copriva gli occhi, la vide che, stupefatta, contemplava la bambina inginocchiata sulla sua ciabatta, avviluppata nei suoi vestiti stirati, impigliati a loro volta nella sedia divelta.
«Ehm… ciao…»
La sua espressione esterrefatta diventò un buffo sorriso.
«Che è successo, è entrato il vento?» ridacchiò, tendendo la mano alla ragazzina e preoccupandosi di non suonare troppo canzonatoria.
«Hotaru… tutto a-YAWN a posto…?» borbottò Michiru, ansiosa di tornare alle amate coltri ma troppo sensibile per ferire una bambina letteralmente rotolata in camera da letto nel bel mezzo della notte.
«Di là ci sono gli spifferi…» sussurrò la piccola, con la testa china a rimirare i calzini di Hello! Spank!, che per dormire erano caldi come un forno…
«Quindi è entrato il vento…?» incalzò Haruka con dolcezza, allargando il proprio sorriso
«Mhhh…» fece Hotaru, e Michiru giurò di averle visto le guance rosse…
«Haruka-papa…?»
«Di’…» la incoraggiò, arruffandole amorevolmente i capelli. Sì, lo sapeva che avrebbe dovuto arrabbiarsi per un’incursione così disastrosa.
«… posso dormire nel lettone con voi…?»
«Non sei un po’grande, signorina?»
La signorina in questione rimase in silenzio e preferì sfoderare i grandi occhi da cerbiatta: Haruka-papa sembrava non essere in vena di rimproveri, nonostante l’ora… e sì, poteva anche essere un papà un po’ atipico, ma il cuore di ogni papà non era mai impassibile davanti a simili espressioni. Era una legge di natura.
Haruka mandò un sospiro rassegnato che aveva già in programma…
«Dai,» le aprì le braccia «vieni qui, ho capito.» e ignorò deliberatamente l’occhiata dubbiosa di Michiru nel sollevare la bambina e adagiarsela sulle ginocchia.

little child, be not afraid
though rain pounds harshly against the glass
like an unwanted stranger, there is no danger
I am here tonight


«Haruka, così la vizi…»
Lei la guardò con un pizzico di sorpresa.
«Ohh…» sbuffò, «Haruka-papa sono io qua, se chiamava te Michiru-papa, allora toccava a te viziarla, è una legge di natura!»
Dove finiva la propensione al sillogismo di casa Tenou, davanti a quella bambina?
«Sappi» sospirò di rimando, fra gli applausi di Hotaru che zampettava allegramente sotto le coperte «… che io non sono d’accordo!» ma sorrideva mentre la testolina corvina le spuntava sul petto e ci si accomodava di gran carriera.
«Ti voglio bene, Michiru-mama!»
«Lo sai che sei poco sportiva?» rispose l’interessata, passandole una mano fra i capelli.
«Sì!» cinguettò la bambina.
Michiru inarcò un sopracciglio, con grande divertimento di Haruka. Quattro anni di furbizia e Haruka che perorava di gusto la causa avversaria… Davvero una coalizione contro le sue sacrosante ore di sonno.
Sorrise.
«Mi farete uscire pazza.»
«Ehi, mamma, basto io a impazzire per te…» brontolò la ragazza al suo fianco.
Michiru sputò qualche alveolo dalla sorpresa, non erano cose da dirsi mentre si respirava!
«Hai detto una cosa molto romantica!» annaspò
«Ah, davvero? Dalla tua faccia sembra che tu stia per dirmi che le lenzuola sono diventate di sciroppo alla banana…»
«Non sono io che entro in modalità serenata una volta ogni reincarnazione…» la freddò, con la calma di chi sa di cogliere nel segno
«… dici?»
«Hotaru, non riprendere da lei sul fronte relazioni interpersonali…» aggiunse poi, rivolta alla bambina
«Che sono le relazioni interpersonali?» chiese la piccola.
«Lascia perdere.» le consigliò Haruka, beccandosi un pizzicotto dalla sua dolce metà
«Eh, ma cavolo, non vale, tu fai male veramente!» esclamò di rimando, prima di tentare l’assalto e di restituirle la gentilezza, in un rumoroso ribollire di risa.
«Teeeeenou Harukaaaaah!»
«Che Tenou e Tenou, qua Tenou diventa Mr. Hyde!»
«Haruka-papa, la gamb—»
«Oh, scusa tesor—A cuccia, Kaiou!»
«Sì, sì… tanto ti prendo di sorpresa!»
«Voglio proprio veder—Ahia, che era?»
«La sorpresa!» fece Michiru, una scintilla di trionfo negli occhi che tradiva l’argentina compostezza della sua voce
«Il mio piede…» ringhiò Hotaru, contrariata
«Scusa, è stata Michiru-mama!»
«Haruka. Io sto qui, fino a prova contraria…»
«Tsk!»
«Vedi, Hotaru?»
«Dai, mamma… scherzo, su… bacino?»
«Viziata!» rise Michiru, sporgendosi per toccarle le labbra. Haruka, più che soddisfatta, tornò al suo posto, puntellandosi con il—
«’Ahuhahahha, hohhi ih hohiho hahha hia hocca, hehhahohe!»
«Che hai detto? … Ah, sì! Oddio, scusami…» mormorò, togliendo il gomito dalla bocca della povera Hotaru.
«Uff… non sapevo che dormire con voi fosse tanto stancante…»
«Ehh, sapessi…»
«Haruka!» sbottò Michiru, indignata: quella donna voleva finire la serata mandando una famiglia allo sfascio.
«Questo significa ‘spegni la luce’ o ‘ti faccio a pezzi’?»
«Non posso prendere la mira se spegni la luce, quindi regolati di conseguenza…» rispose lei, soave
«Vabbé. Coprifuoco, gente!» annunciò, schiacciando il pulsante dell’abat-jour.
Hotaru era rimasta senza parole.
Un pizzicotto, dannazione! Michiru-mama aveva davvero dato un pizzicotto ad Haruka-papa!
Non c’era più religione.
Calò il silenzio. Fuori, il bubbolio della tempesta.
Due secondi scivolarono via nel buio. Poi, Haruka riaccese la luce.
Più precisamente, tentò di accenderla, ma l’interruttore scattò a vuoto e il buio se ne restò bellamente arrampicato sulle pareti. Grugnì con disappunto, dannati temporali e dannate centraline. Disse addio a una bella tazza di latte col miele e fece per immergersi nel piumone. Prima di abbassare le palpebre, tese le orecchie e non seppe spiegarsi il brivido che le percorse la schiena.
Qualcosa, nel vento, era sbagliato, qualcosa che con aveva niente a che vedere con nubifragi e affini. Ma d’altronde – si disse, controllando l’ora sul display del cellulare – a quell’ora una Senshi non era ricettiva, solo metereopatica.
Non si era ancora stesa che la mano di Michiru scattò ad afferrarle il braccio.
«Il… il mare.» mormorò. «Non lo sento più.».
Abbandonata del tutto l’ipotesi della metereopatia, balzò a sedere e la guardò di sottecchi, sperando di stare guardando dal lato giusto.
«Michiru… dov’è Hotaru?» chiese, senza fiato e con gli occhi spalancati nell’oscurità. Di lei nessuna traccia: non solo non l’avevano sentita sgusciare via, ma il letto non portava il minimo segno del suo passaggio, che fossero le coperte spiegazzate, o almeno uno spazio vuoto e sgualcito fra loro due… Invece, niente di niente, anche la porzione di letto su cui si era accucciata era fredda come se nessuno vi si fosse mai steso, neanche Michiru o lei stessa… e per quanto Hotaru fosse agile, sottile e discreta in tutto, non si sentiva affatto tranquilla. Come se non bastasse, il fatto che né mare né vento dessero un qualunque segno di vita era un bel sintomo di guai nell’aria.
«Non lo so.» le rispose Michiru, mordicchiandosi il labbro.
«Non è nella sua stanza. Attorno a noi è tutto spaventosamente fermo.»
Alla sua ragazza occorse poco per darle ragione. All’improvviso, quella stanza era diventata un’isola di vita in mezzo a un mare di spazio piatto e grigio.
«Guarda, la porta è chiusa.»
Silenzio.
«Hotaru non chiude mai questa porta.»
«No.»
«Qualcosa non va.»
«Più di qualcosa.»
«Voglio vederci chiaro, Michiru. Giù dal letto, andiamo.».
Scesero di soppiatto dal caldo rifugio delle coperte e si avvicinarono lentamente alla porta. Stringendo le penne di trasformazione al sicuro sotto il pigiama, si tennero in guardia, pronte a qualunque cosa. Haruka sbarrò il passo all’altra donna, che già si era proiettata verso la maniglia, e la strinse con cautela.
«Ecco, brava.» sibilò la voce di Michiru da dietro le sue spalle «Adesso potrebbe succederti qualunque cosa, se apri per prima.»
«Basta che non succeda a te.» ribatté lei, col tono brusco di chi non ammetteva repliche.
Raccogliendo tutto il suo sangue freddo, girò il pomello.
Uno scatto metallico.
Tutto normale… salvo il fatto che la maniglia si trasformò in un filamento di chewing-gum alla fragola, che le si avvolse attorno al polso con le peggiori intenzioni, a quanto pareva. Haruka imprecò in maniera scandalosa.
«Lo sapevo io, che questa era una brutta serata – merda! -!».
Divincolarsi, con tutto l’aiuto di Michiru che la tirava per i fianchi, era inutile.
«Adesso basta, c’è un limite anche alla mia pazienza! Non avrei mai pensato di doverlo rifare, ma… URANUS PLANET POWER, MAKE UP!» ruggì, lasciando scivolare la penna di trasformazione nella mano libera. I nastri dorati del sailorfuku che le si avvolgevano addosso tranciarono la gomma molesta.
«Perfetto!» esclamò con trionfo Sailor Uranus, in pieno possesso delle sue facoltà motorie e magiche. Con un sospiro sollevato, Michiru invocò il potere di Nettuno per aiutarla a sfondare quella dannata porta con un bell’attacco combinato, che, oltre a sortire l’effetto desiderato, fece schizzare calcinacci fin nei cassetti della biancheria. Nessuna di loro diede peso all’evento.
Piuttosto, si sporsero per guardare ciò che le attendeva… ovvero solo il vuoto, un nero denso che decisamente non era il loro corridoio.
«Allora, andiamo?»
«E me lo chiedi?» fece Uranus, prendendole il polso. «Per quel che possiamo saperne, potremmo restare a galleggiare come sottaceti, fare una brutta fine o chissà che altro… Buttarsi così a capofitto non è da noi. Ma da qualche parte qui in mezzo c’è Hotaru.» concluse.
Sentì la stretta di lei che le accordava piena fiducia, così si tuffò, trascinandosela dietro.
*
«Ahia, la testa.» biascicò Neptune, massaggiandosi il capo. Uranus, ancora malferma sulle ginocchia per la brutta caduta, le offrì il braccio. Beh, se non altro erano cadute da qualche parte, era già un progresso… Lasciò che la compagna si aggrappasse a lei per riprendere possesso delle proprie gambe.
«Bene, qualunque postaccio sia questo, dieci punti in meno per l’atterraggio schifoso, e se prima non avevo l’intenzione di fare a pezzi il deficiente che mi ha fatto trasmigrare corridoio e tinello, beh… adesso posso anche farlo saltare in aria!» sbraitò poi. La mancanza di sonno la rendeva anche più irritabile del solito, sospirò Michiru, trattenendola per un braccio prima che potesse lanciarsi alla cieca.
«Benedetta bambina…» la sentì brontolare «… qualcuno dovrebbe attaccarla con un guinzaglio!»
«I bambini non vanno a finire in questi buchi dimensionali, anche perché sono cose che succedono solo in questa casa…» si sentì in dovere di puntualizzare
«Ha una potenza troppo grande per non essere stata risucchiata.» tagliò corto Uranus.
«Questo posto è pieno di… isolante, non sento niente!» fece l’altra, anche lei visibilmente seccata dalla situazione. Haruka si guardò intorno con cipiglio sospettoso, strizzando gli occhi per scorgere qualcosa di preciso attraverso il buio. Batté violentemente il tacco sul pavimento e ascoltò l’eco con attenzione.
«Pulizia spirituale a parte, non c’è niente in questa... stanza. Sono sicura al novantanove per cento che il rumore rimbalza solo sulle pareti.»
Con la testa rivolta ad un ipotetico soffitto, Michiru mosse qualche passo per starle il più vicina possibile.
«Non sarà mica uno di quei portali pieni di alieni assetati di energia? Sai com’è…» mormorò
«Nah, che monotonia…» sdrammatizzò l’altra «… non ho mai visto portali tanto tangibili.»
Michiru avrebbe voluto dire la sua, ma si trattenne e Haruka tacque all’istante nel notare che, adesso, una debole luce pioveva sulle loro teste e rivelava il soffitto circolare e le mattonelle di vetro oscurato del pavimento. Si lasciarono quasi sfuggire il primo commento entusiasta della serata, almeno non erano più semicieche… ma, come disse Haruka un momento dopo, avrebbero dovuto aspettarselo.
O forse no.
Come si fa a prevedere litri di sciroppo alla ciliegia in caduta libera dal soffitto?
«Dimenticavo di aggiungere…» urlò, artigliandosi al polso di Michiru, che tentava malamente di pattinare su quella discreta porcheria, intralciata dai capelli impiastricciati «… che i portali non hanno un senso dell’umorismo!» e sputò una buona dose di sciroppo ai suoi piedi, fermamente decisa a bandire le ciliegie dalle sue ore pasti per i prossimi trent’anni.
«Hai idea di quel che sta succedendo?» gridò l’altra, nel vano tentativo di sovrastare il gorgoglio dei flutti viscidi e rossi. Erano nel bel mezzo di un oceano appiccicoso, constatò. Fece una smorfia: quella roba era fin troppo dolce per i suoi gusti, e, a giudicare dalla faccia furiosa di Haruka, non era solo una sua opinione. Fortuna che potevano nuotarci dentro.
«Oh, adesso abbiamo oltrepassato il limite, questo è indignitoso!» si arrabbiò Uranus, che sembrava davvero aver esaurito tutte le sue scorte di temperanza. Estrasse la spada e la usò come tavola da surf, issando Neptune dietro di sé.
«Reggiti!» ruggì, le dita di lei che le bucavano le costole. Riuscì a cavalcare l’onda vischiosa che minacciava di abbattersi sull’altro lato della parete, ma non vedeva via d’uscita. Entrambe serrarono gli occhi, in attesa dell’impatto. All’improvviso, Haruka si inarcò all’indietro, tirata dal braccio di Michiru che le si era aggrappata al collo. Per educazione - o, più logicamente, per terrore – non osò chiederle cosa diamine stesse facendo.
«Deep Submerge!» la sentì strillare.
L’ammasso di energia marina annacquò la schifezza caramellosa e la fendette in grande stile, facendo da propulsore, mentre la Space Sword faceva far loro il giro della parete. Michiru strinse con entrambe le braccia il collo di Haruka, che si teneva con i piedi incollati al talismano più per questioni di sciroppo sulle suole che per coraggio effettivo.
«Cazzocazzocazzocazzo!» urlò, infatti, bianca come un cencio e col volto sfatto mentre la Space Sword cominciava a perdere quota proprio nella curva più alta del soffitto. Con un ultimo, disperato tentativo, diede un colpo di bacino nella speranza di guadagnare qualche metro, ma fu utile solamente a rallentarle di più.
«WORLD SHAKING!!» tuonò, e il colpo partì sparato verso il mare di sciroppo diluito con gli effetti di una bomba atomica: il centro dell’abisso zuccheroso si sollevò e tutto il liquido si proiettò verso di loro. Urlarono e cercarono di arrampicarsi l’una sull’altra nel momento in cui non sentirono più la spada sotto i piedi.
«Non urlare e cerca di non bere!» le disse Neptune, un momento prima che l’acqua le travolgesse. Uranus avrebbe voluto sbuffare, ma non sarebbe stato saggio farlo, si limitò a tenersi a lei. Intravide l’imboccatura di una specie di tunnel di vetro nel soffitto, che le attirò col risucchio orribile di una gigantesca cannuccia.
Sballottate qua e là attraverso il tubo che zigzagava in maniera piuttosto scomoda, pregavano che lo sciroppo facesse da collante e le tenesse almeno vicine, cosa poco difficile, visto che erano praticamente l’una addosso all’altra. Perlomeno, si consolò Uranus, riusciva sorprendentemente a reggere tutto quel peso. Non era chissà che consolazione per continuare a dibattersi come sardine sciroppate, ma meglio di nie—
Crack.
Haruka percorse la crepa con gli occhi e inveì con veemenza, ingoiando i capelli appiccicaticci di Michiru, che, dal canto suo, alzò semplicemente un sopracciglio con signorile frustrazione. Fece appena in tempo a ghermire le spalle asciutte della ragazza, che il tubo era già un pulviscolo di vetri in frantumi.
Il nero infinito che le circondava si riempì del loro grido.
«Non ti azzardare a lasciare la presa!» latrò Uranus a Neptune
«Credi che abbia tutta questa voglia?» fece lei, serafica, a dispetto del loro precipitare continuo a trecento chilometri orari.
Haruka la strinse ancora più forte, il sangue che pulsava nelle dita per lo sforzo. Michiru si sistemò con il mento sulla sua spalla e intrecciò ben bene le dita dietro la sua schiena.
«Cadremo da qualche parte. Ribadisco che non è un modo carino di morire.» bofonchiò lei.
«Beh, tu sei abbastanza comoda per morire.» buttò lì Michiru, assolutamente padrona di se stessa. La ragazza, invece, alzò gli occhi al cielo, sempre che ce ne fosse ancora uno, ma se ne pentì amaramente nel vedere le dita di Michiru che si separavano dalla sua vita. Il fiato le si congestionò nei polmoni quando vide i grandi occhi azzurri spalancarsi in un istante di doloroso stupore. Il rumore del sailorfuku che sfregava il suo, inesorabile, fu un raspare lungo e assordante.
Haruka stirò il braccio in avanti, fino a farsi male, ma chiuse il pugno a un millimetro dalla sua mano.
«Mi—» si azzardò a chiamarla, ma la gola le si chiuse
Le labbra di Michiru si schiusero di rimando, ma, prima che potesse parlare, un flusso di vento contrario la riportò a galla di fronte ad Haruka, e cancellò il terrore dai lineamenti delicati, che si distesero del tutto quando la sua mano scivolò di nuovo nella stretta della ragazza.
«Phew!».
Haruka tirò un sospiro di sollievo quando passò il braccio attorno alle beneamate spalle e la loro proprietaria si lasciò avvolgere pigramente, inclinando la testa con fare adorabile. Attraverso la stucchevole cosa appiccicosa, c’era ancora il suo odore, quel misto caldo di sapone, pulito, di quel profumo alla mela verde che le aveva regalato. Le sciolse il cuore il pensiero che avrebbe potuto perderla, un secondo prima. Le avvicinò il viso al collo e l’effluvio troppo fruttato le fece ricordare Hotaru che giocava a mettersi il rossetto con la marmellata, con buona pace della povera Setsuna.
«Michiru.» mormorò, vicina alla sua guancia, in un soffio intimo e indifeso.
Avrebbero tirato quella bambina fuori da lì e l’avrebbero tenuta di nuovo stretta fra le coperte.
«Io…» bisbigliò…
Inutile specificare che si erano cullate troppo nell’illusione di poter arrivare in qualche posto comodamente sedute su un venticello opposto al loro senso di marcia, che scendeva lento e docile come un sedile estensibile. Ebbero parecchio da ridire quando la cortese brezza preferì lavarsene le mani, per abbandonarle alla loro logorante discesa supersonica, che - a detta di Neptune - stava diventando una faccenda ripetitiva. Decise anche che, potendo, avrebbe baciato i riflessi di Haruka, data la velocità con cui l’avevano ripescata.
Stava appunto pensando che era stufa di cadere e che stava diventando un po’ troppo passiva, che il vento sbarrò loro il passo, ignaro che quella fosse una giornata no per le barriere. Già sul piede di guerra, le due Senshi videro sfumare i loro bellicosi intenti non appena toccarono la superficie con i talloni: si spezzò come una bolla di sapone e, quando Haruka e Michiru si ritrovarono a fluttuare in direzione di un pavimento, una era in smoking, l’altra aveva un leggero vestito di seta bianca e luccicante. Il corpetto, due fasce che si incrociavano sul seno, sbocciava in una lunga gonna a tre strati che svolazzò graziosamente durante il breve volo, in barba ai vani tentativi della ragazza di tenere mani e abito fermi sulle ginocchia. L’atterraggio non fu per niente morbido.
«Ma cosa significa?!» esclamò Michiru. Non riusciva a staccare gli occhi dal sontuoso luccichio del suo vestito intessuto di brillantini. Gettò sguardi frenetici dietro le spalle, alla schiena seminuda, davanti a sé, alla gonna luminosa e leggera, poi fece un breve giro su se stessa per osservare un lembo dello strascico splendente. Stupita, si accorse che non riusciva a fermarsi.
Da lì, fu tutto un crescendo.
Aveva lasciato Haruka che si stava fissando interdetta i polsini della camicia e le scarpe tirate a lucido e se la ritrovò che le porgeva la mano per prolungare l’elegante giravolta.
«Che sta succedendo? E che… che stai facendo?»
«Non ne ho idea, mi muovo da sola!» ribatté Haruka, perplessa quanto lei, mentre la guidava imperterrita nel walzer.
Ciliegina – conato di vomito – sulla torta, l’accompagnamento musicale che spuntava da chissà dove. Haruka prese a guardare impazientemente a destra e a sinistra in cerca della fonte, senza che i piedi esitassero un secondo. Michiru ostentò un’occhiata preoccupata.
«Beh,» fece lei «prendilo come risarcimento per il compleanno che ti ho fatto passare in casa…».
L’altra accennò uno sguardo in tralice.
Haruka alzò gli occhi al soffitto
«Ma tu guarda… Hotaru è chissà dove e noi siamo incollate a ballare il walzer come due duchesse vecchie e grasse!» sbuffò rumorosamente, aspettando qualche cosa di insensato che scollasse loro le mani.
Michiru preferì glissare sul fatto che le duchesse non portavano il frac, e, non potendo fare altrimenti, si lasciò stringere la vita dal braccio involontariamente galante di Haruka.
«Riesci almeno a… ballare nella direzione che vuoi?» chiese
«Posso provarci… Ecco… sì.» rispose lei, compiaciuta mentre si accorgeva di potersi muovere a passo di danza. Dato il modo in cui Michiru vi si adattava perfettamente, dedusse che nemmeno lei aveva difficoltà in merito.
«Ok,» le disse «dove vuoi andare?»
«Facciamo il giro della sala.» le rispose, indicando il colonnato del grande salone circolare «C’è qualcosa di diverso qui, rispetto a quella di prima.»
Haruka annuì, perché stava notando la stessa cosa. Attraverso le massicce colonne di pietra, il cielo di notte, traboccante di stelle. Gettavano la propria luce tenue sulla pietra intarsiata delle pareti. Erano così tante che sembrava fosse sorta la luna.
Si avvicinarono il più possibile, fino a che non arrivarono a sfiorare pericolosamente i pilastri giganteschi. Li scavalcarono con lo sguardo. Una brezza fresca e discreta raffreddava loro i visi.
Sotto di loro, solo la notte lucente. Nient’altro. La maestosa stanza era praticamente sospesa nel cielo, in un vasto ricamo di stelle.
Continuarono a ballare. Sembrava si stessero inseguendo all’ombra delle colonne come due fantasmi, gli occhi fissi lì, nel vuoto stellato.
Non riuscivano a guardare altrove.
Se Haruka avesse potuto, avrebbe stretto Michiru il più forte possibile, fermando quel carosello che cominciava a intorpidirle braccia e mani, poi sarebbe rimasta immobile. Con gli occhi in quella notte dipinta di stelle palpitanti. Fremevano debolmente. Come se potessero muoversi. E respirare.
No.
Non erano stelle.
Erano lucciole.
«Lucciole…?» le sfuggì.
«C-cosa?!» balbettò l’altra, senza fiato.
«Hotaru!*»
Anche Michiru voltò la testa.
«Non è bellissimo?» disse una vocina squillante.
A occhi spalancati, le due guardarono la bambina che, in una gorgogliante risata, correva a braccia aperte verso di loro, con una salopette frusta addosso.
Tutto si fermò all’istante, musica o danza che fosse.
«Hotaru…» mormorò di nuovo Haruka quando la piccola le strinse le ginocchia. Michiru le accarezzò dolcemente la testolina.
Sembrava un gattino caldo e felice che si strusciava contro la sua mano. Quando vide il suo abito elegante, si staccò da Haruka per ammirarlo meglio con i suoi occhioni sognanti. Lei se ne accorse e le fece un gran sorriso
«Wah…» sospirò la bambina «Da grande voglio essere bella come Michiru-mama!».
Non seppero perché, ma quella frase le riempì di una tristezza immensa.
Hotaru non diede segno di essersene accorta: le sue risatine infantili riecheggiavano nel salone improvvisamente muto. Si divertiva a fare piroette, sotto al braccio di un cavaliere immaginario, poi si metteva a saltellare come un leprotto, nascondendosi dietro la gonna di Michiru o dietro le gambe di Haruka, poi cercava di coinvolgerle tirando chi per una manica, chi per lo strascico, ma le due si stavano ancora chiedendo perché lei fosse lì, a giocare con tutta la nonchalance del mondo.
Questo, fino a che la pargoletta non si stancò.
Si rizzò fiera sui suoi cinquanta centimetri di altezza per andarsi a piazzare di gran carriera davanti alle due donne, assicurandosi di sbattere per bene i piedi in modo da attirare la loro attenzione, come se ce ne fosse davvero bisogno.
Poi, tese le braccia di bambola verso di loro, le manine ben aperte.
Che fosse o no nelle sue intenzioni, riuscì comunque a strappar loro un mezzo sorriso.
«Non potete ballare solo voi, ecco. Mi stavo stufando.».
Haruka e Michiru si scambiarono uno sguardo perplesso. Eppure, in virtù di quell’istinto proprio dei genitori, non importa quanto veri, avvolsero le dita minute nelle loro, affusolate e adulte. Nell’attimo in cui sul musetto infantile si schiuse un luminoso sorriso, l’orchestra invisibile riprese il proprio walzer… e si riprese le loro gambe, con grande stupore di entrambe, che non ebbero più la possibilità di lasciare la stretta. Hotaru rideva felice, con l’espressione di quando le bambine sognano di fare le principesse. Michiru la esaminava pensosa, mordendosi lievemente il labbro. Haruka, da parte sua, era inquieta e accigliata, gli occhi che andavano da Hotaru, a lei, alla stanza che girava incessante nel loro grazioso girotondo.
Infine, si appoggiarono di nuovo su di lei con quel lampo di vittoria che Michiru aveva imparato a riconoscere.
«Ci sono.» sentenziò, secca. «Questo posto è—»
Michiru annuì lentamente.
Non poté, tuttavia, sentire il resto: l’attimo dopo, venne abbagliata dallo sciame di… stelle? lucciole…? che si staccarono dal cielo come per silenzioso ordine di qualcuno. Come nastri, si avvolsero attorno alla bambina, che svanì come cenere nel vento, cosa che l’incantesimo non fece: le due Senshi si trovarono a vorticare l’una catapultata nelle braccia dell’altra. A fermarle, pochi istanti dopo, due lacci invisibili che bloccarono loro le caviglie e sciolsero le loro dita, attirandole nella direzione opposta, contro il pavimento.
Nessuna si fece male, perché la stanza si dissolse insieme ai loro vestiti mentre le due ragazze fendevano l’aria e ritornavano ai loro sailorfuku.
Tutto divenne buio.
Il solo fatto di guardare la compagna cadere, esterrefatta, era una sensazione orrenda: in più, ebbero la sgradevole impressione che il contraccolpo fosse stato così potente che il loro collo si sarebbe spezzato in una decina di secondi.
Fortuna volle che il loro volo nelle tenebre durasse molto meno.
Tutt’a un tratto, cozzarono schiena contro schiena e riconobbero di essere immobilizzate a testa in giù, l’una contro l’altra.
L’esperienza, decisero, non era né piacevole né auspicabile.
Ciononostante, qualcuno (o qualcosa) in quella dimensione assurda doveva avere qualche nozione di galanteria terrestre, dato che le lasciò subito andare. Planarono delicatamente verso terra, ma nessuna delle due accennò a volersi separare dall’altra. Questo perché avevano ben imparato a stare sul chi vive… effettivamente, le tenebre sotto i loro piedi schizzarono in alto e le avvilupparono in un abbraccio granitico. Fu allora che Neptune si sentì folgorata da un’orribile sensazione di déja-vu.
«Questa è la statua in cui ci aveva intrappolate Mistress 9.» mormorò.

little child, be not afraid
though storm clouds mask your beloved moon
and its candlelight beams, still keep pleasant dreams
I am here tonight


«Esatto.» confermò Uranus, senza scomporsi «Più precisamente, è la sua ombra. Questa è opera di Hotaru.»
Neptune fremette inorridita.
Miriadi di lucciole cominciarono a volteggiare placidamente attorno a loro, in un cerchio spettrale di fuochi fatui.
«Quel che accomuna i tre posti in cui siamo state, è la mancanza totale di una fonte di luce propria. Ovunque, solo il buio, o, al massimo un momento di luce prima che lo sciroppo ci colasse addosso, ricordi? O le stelle, astri che di solito brillano di luce riflessa. E che erano lucciole, alla fine. Insetti che emanano una luce effimera e vivono altrettanto poco. O questo posto, tutto nero. Per quanto sia votata al bene, Hotaru non può produrre luce propria con i poteri latenti di Sailor Saturn.»
«Perché, consapevole o no, questa dimensione è pur sempre frutto dei poteri della Guerriera della Distruzione.»
«Centrato. È il suo potere che non glielo permette.»
«Perché Hotaru avrebbe dovuto trascinarci qui, con dei poteri che non dovrebbe avere?»
«Non è stata Hotaru.»
«No, eh?»
«No. È stato—HOTARU!» si dimenò Uranus, quando scorse la pallida figura di Hotaru di fronte a loro, priva di sensi.
Dire che era pallida era dire poco. Era cerea e sudata, i capelli appiccicati alla fronte, il capo piegato sulla spalla e il respiro affannoso.
Sul pavimento, le due videro affiorare delle immagini sbiadite in cui spadroneggiava il ghigno di Mistress 9, intervallato da lunghe sequenze in cui le ragazze poterono vedere loro stesse intrappolate nella gigantesca scultura e soffocate dai lunghi capelli del mostro, stretti attorno al collo come legacci letali. Risentire le loro invocazioni strozzate e irose verso Sailor Moon non fu affatto edificante.
«N-no…» Hotaru pigolava come un pulcino «Io ho delle persone che si preoccupano per me… non sono come te… mi danno tutti i giorni lo sciroppo alla ciliegia e mi fanno giocare e io non voglio far male a loro, io…» prese un respiro e provò ad alzare un braccio, che le ricadde lungo un fianco immediatamente.
«Sciroppo… Haruka, questo vuol dire che noi… siamo nella sua… coscienza? Ecco perché non c’era una logica in quel che vedevamo, era lei che.. delirava?!»
A bocca aperta, lei annuì silenziosamente.
«… se smetto di fare la brava e ti ascolto… e risuccede tutto… non me lo danno più…»
Ascoltarono il sussurro con gli occhi sgranati.
Poi, Haruka non seppe dire cosa successe esattamente al suo cuore: lo sentì battere così forte da scoppiare. Col sangue che le saliva alla testa, estrasse la spada per tranciare quella maledetta statua, anche se fosse stata di diamante. Sferrò un colpo così forte che il polso crocchiò e la scultura rotolò in mille pezzi.
«Hotaru!» gridò, senza fiato. Si precipitò da lei come se avesse le ali ai piedi e, con una scivolata, le fu a fianco, pronta a prenderle la testa sulle ginocchia. Michiru, che per la prima volta in tutta la sua vita era riuscita a stento a starle dietro, si era inginocchiata vicino a lei e tentava di farle riprendere i sensi con dei lievi colpetti sulle guance imperlate di sudore.
«H… Hotaru…. Mi senti? Sono Haruka-papa.» esalò Haruka, prendendo una piccola mano fra le sue.
«Nh…» mormorò la bambina, stringendola appena, senza riprendere conoscenza. Strizzava gli occhi e digrignava i denti.
Loro presero un profondo respiro.
C’era solo un fantasma che aveva il potere di sconvolgerla così.
«… lo so che vuoi che me ne vada…»
«Hotaru.» ripeté Haruka, in un soffio dolcissimo, di quella dolcezza di cui Michiru era sempre stata l’unica, segreta testimone.
«Mistress 9 se n’è andata. Tanto tempo fa.»
«L’hai cacciata via insieme a Sailor Moon, ricordi?» aggiunse Michiru, con una soffice carezza sui suoi capelli
«Te lo ricordi? Quando hai detto che non saresti sparita, perché hai delle persone che si preoccupano per te e ti vogliono bene?» le disse Haruka, sorridendo. Avrebbe voluto trasmettere forza e sicurezza a quel cardellino tremante che si era abbandonato fra le sue braccia, ma si sentiva trascinata via dai sentimenti, che le sbatacchiavano qua e là il cuore come raffiche di vento.
E pensare che un tempo avrebbero voluto ucciderla, per salvare il mondo. Uccidere quel piccolo scricciolo senza il minimo riguardo per il cocciuto idealismo di Sailor Moon.
Lo stesso cocciuto idealismo che era ritornato col sailorfuku a brandelli e un fagotto fra le braccia per darlo a loro.
A loro.
E loro l’avevano vista crescere a razzo, l’avevano vista correre e giocare, l’avevano vista ridere e avevano riso con lei.
E quella bambina la chiamava papa. E adesso era lì, incosciente. E lei le teneva la testa sulle gambe e non riusciva a trovare il modo per farla svegliare, per cancellare quella smorfia di dolore sul visino delicato, per cacciare via a calci l’ombra di Mistress 9 che osava minacciarlo.
Avrebbe voluto dirle tante cose.
Era il suo papà.
Poco importava chi l’avesse deciso.
Era così.
Avrebbe solo voluto salvarla come aveva fatto Sailor Moon a suo tempo.
«Hotaru…» mormorò, attirandola a sé. La testa restava penzoloni e gli occhi restavano chiusi, ma il respiro, per quanto ridotto a un fremito, le diceva che Hotaru era ancora lì.
«Non so cosa ti stia spaventando davvero… non si nemmeno perché conservi ricordi che non dovresti tenere con te, ma…» proseguì, cercando di restare il più serena possibile «ma quelle persone per cui hai sconfitto Mistress 9 sono ancora qui. Quelle persone che tengono a te e che non ti lasceranno mai e che non permetteranno mai che ti succeda qualcosa. Se tu adesso decidi di…» cercò di riprendere il controllo della voce che andava spezzandosi «andare… via…» sussurrò, trattenendo caparbiamente ogni singola goccia di pianto in fondo agli occhi «… cosa credi che faremmo… noi? Michiru-mama… Setsuna-mama… e io… e anche Chibiusa-chan? E tutte le altre persone che hanno fatto l’impossibile per salvarti allora? A…» deglutì «… a chi dovremmo voler bene, noi, se tu vai via? N-Non possiamo volerci bene solo fra di noi, sai? Non basterebbe, tutto questo bene che vogliamo dare solo a te. Io… .» bisbigliò, la voce un po’ rotta e gli occhi un po’ lucidi e la mano un po’ aggrappata a quella della piccola Senshi «… io credo in quello che hai detto quel giorno. Adesso mi accorgo che forse è l’unica cosa in cui abbia mai creduto, lo… lo sai?»
Michiru si limitò a guardare la sua lunga confessione con un sorriso che andava via via allargandosi.
little child, be not afraid
though wind makes creatures of our trees
and their branches to hands, they're not real, understand
and I am here tonight

«E adesso so per certo che il tuo corpo è forte. È il più forte di tutti: nuovo nuovo. Non c’è niente che possa farti male ora. Non avere paura. Solo… apri gli occhi. Per… per favore. Io… voglio continuare a essere Haruka-papa. Solo per te, però. Per nessun’altra bambina.»
Strinse Hotaru con tutte le sue forze e si accasciò a toccarle la fronte con la sua.
«Ti prego…» la implorò.
«Mh…» mormorò la bambina, mentre il simbolo di Saturno le appariva sulla fronte. Solo che, stavolta, era dorato.
Le due Senshi, una che ancora non osava sciogliere l’abbraccio e una che le scostava via la frangetta corvina, restarono impietrite per un lungo secondo, fino a che Hotaru non socchiuse gli occhi con aria appesantita.
«Hotaru!» esclamarono in coro.
«Haruka-papa… Michiru-mama…» articolò la piccolina, ancora cullata nella stretta della ragazza e un po’ stordita.
«Qui, piccola.» rispose Haruka
«… pizzica…»
«Cosa pizzica?» chiese lei, interdetta
«… gola…».
Si sentì come se le fosse sfuggito qualcosa.
Esitò un momento.
Poi le toccò la fronte.
Esitò di nuovo.
«Mppff…».
Poi rise, lasciandosi andare su Hotaru, fronte contro fronte, adesso che la bambina dormiva un sonno quieto e profondo. Nonostante fosse una risata discreta e melodiosa, Michiru, per quanto stupita, sapeva che stava ridendo di gusto, allegramente scossa da capo a piedi.
Sorrise.
«Ahh.».
Haruka, sollevata, alzò la testa e stroncò con un dito quella timida lacrima che aveva tutta l’intenzione di scendere.
«Michiru…»
«Mh?»
«Se questo fosse l’epilogo di un romanzetto da quattro soldi, adesso dovrei darti un bacio.» ridacchiò.
*
Allungò la mano per accendere la luce, fremendo di terrore all’idea di non poterlo fare. Nel caso, aveva già pianificato di staccare l’interruttore a morsi. Con grande gioia di quest’ultimo, la luce si accese. A rovinarle la festa, si accorse poi, il fatto che era già mattina e che, dalla tapparella abbassata solo per metà, entrava una calda, prepotente ondata di sole che avrebbe risvegliato anche una mummia.
Michiru e il suo vizio di chiuderla male!
Si voltò a guardarla. Sembrava davvero una creatura spuntata dal mare, i riccioli azzurri sparsi sul cuscino come onde nella burrasca, mossi appena dal respiro di Hotaru, il corpo slanciato e voluttuoso, la pelle trasparente e bianca come la spuma della risacca. Anche Hotaru sembrava profondamente addormentata, sommersa da quella marea di capelli turchesi. Era spalmata sul piumone a braccia allargate, col pigiama lilla rialzato sulla pancia. Haruka sospirò a mo’ di rimprovero e le toccò l’ombelico: era gelata.
«Ma tu guarda se uno deve dormire come un Romano sul triclinio…»
Rimise la maglia al suo posto.
«Haruka-papa…» bofonchiò Hotaru, svegliata dalla pressione calda della sua mano.
«Mh?» replicò lei, con un sorriso
«Non mi sento bene…»
«L’avevamo intuito…» sghignazzò lei, ma Hotaru sembrò non cogliere l’allusione. Haruka le fece cenno di non badarci e le toccò la fronte: scottava, proprio come la sera prima. Per prima cosa, la infilò di nuovo con le gambe nel piumone.
«Ci vuole un termome…» ma un sonoro sbadigliò le impedì di continuare.
Nel silenzio generale, Hotaru tirò su col naso.
Un uccellino cinguettò fuori dalla finestra.

and I hope that you'll know
that nature is so
the same rain that draws you near me
falls on rivers and land
on forests and sand
makes the beautiful world that you'll see
in the morning


Michiru strinse l’abbraccio attorno alla bambina e tentò di spostarsi i capelli dal viso. La piccola fece per rotolarle via dal braccio, ma andò a sbattere contro il naso di Haruka, che soffocò una parolaccia per amor della propria autorità di fronte a una bimba, ma si morse la lingua nell’impresa.
Il buongiorno si vede dal mattino, e loro erano proprio partite in quarta.
«Siete incredibili, anche quando dormite…» biascicò Michiru ad occhi socchiusi
«Buongiorno anche a te, Michiru!» rispose Haruka, sarcastica
«Oh, avanti… non ti fa bene cominciare a sputare veleno di prima mattina…»
«Io non sputo veleno…» brontolò lei, a bassa voce mentre Michiru la abbracciava.
«Sì, sì… lo sappiamo…» disse poi, schioccando un bacio sulla guancia accaldata di Hotaru che assisteva tranquilla alla scena.
«Uhm. Scotti!» esclamò, accigliata.
«… sì, scotta…» si stiracchiò Haruka. Poi, le fece un sorriso seducente e le spostò un boccolo dietro l’orecchio «… e ti sei appena offerta come candidata per andare a prendere un termometro…».
«Guerriera del vento dei miei stivali…» ribatté Michiru con la solita serenità, mentre faceva per alzarsi dal materasso.
«Alt! Vado io, siete già state abbastanza brave stanotte, a combattere con la febbre di questa signorina!»
«Setsuna!» esclamarono all’unisono, sorprese dalla sua uscita.
L’amica, appoggiata allo stipite della porta, sorrise con aria misteriosa e addentò la fetta biscottata che stringeva in mano.
«Beh, veramente… più che quello, noi…» balbettò Michiru
«… abbiamo affrontato roba un po’ più… problematica.» completò Haruka, sottolineando il concetto con un lungo sbadiglio.
«Beh, non penserete mica che la febbre della Guerriera della Distruzione sia una febbre normale!».
Le due si scambiarono uno sguardo stralunato.
Hotaru sonnecchiava di nuovo, stordita dalla febbre.
«Ma… ma… allora la febbre non era una conseguenza di tutto quel disastro, ma la… la causa?!» chiese Michiru, guardando Setsuna annuire. Fece una piccola pausa e si riprese per obiettare.
«Un momento! Hotaru non si è risvegliata come Sailor Saturn!»
«Vive con noi proprio perché il momento è vicino.» sentenziò Setsuna
«Esattamente.» asserì Haruka, corrucciata «Mentre questo poteva accadere, tu eri lì con noi e non ti sei fatta vedere… e ci hai lasciate a macerare nello sciroppo e ci hai lasciate ballare come delle statuine da carillon!».
Incrociò le braccia al petto nell’accorgersi che la sua protesta-quasi-pretesto era caduta nel vuoto.
«In quanto Guerriera della Distruzione, se Hotaru si ammala non riesce a sfogare naturalmente la malattia, il suo potere è troppo grande… e finisce per provocare una distorsione dimensionale. Solo che, per ragioni di sicurezza dell’Universo intero, questa distorsione si restringe al suo mondo interiore, alla sua coscienza. Proprio come i malati che sentono solo il gusto amaro sulla lingua, allo stesso modo la sua mente fa riaffiorare tutti i pesi, le paure, le cose più scabrose o assurde… e sembra proprio che vi abbia tirate dentro, per fortuna! Altrimenti sarebbe rimasta chiusa a doppia mandata dentro di sé.»
«Il fatto che abbia ricordi della sua ultima esperienza da Sailor Saturn vuol dire che le nostre previsioni erano giuste… il tempo della famigliola felice era destinato a durare davvero poco.» fece Michiru, con malcelata tristezza.
«È durato quel poco che mi è servito per imparare a cambiare un pannolino… è frustrante.» sbuffò Haruka, nascondendo un sorriso.

everything's fine in the morning

Michiru borbottò qualcosa tipo Miss Padre Metodico Tenou. Setsuna le strizzò l’occhio con aria complice. Hotaru farfugliava di parfait al cioccolato.
La combriccola si paralizzò, colta da un improvviso attacco di panico.
Già si vedevano pattinare su una malvagia, sdrucciolosa distesa di cioccolato, inseguite da una valanga di cacao.
Senza osare respirare, abbassarono lo sguardo sulla sua figurina beatamente addormentata.
Fu allora che Hotaru aprì un occhio.
«Scherzetto!» squittì, ridendo convulsamente.
«Dillo, che vuoi farmi venire un duplice infarto a diciotto anni!» esclamò Haruka, fingendo di volerla torturare. Hotaru riusciva solo a ridere mentre cercava, senza successo, di sgusciare via dalla sua stretta.
«No, no, il solletico no! Noooo!» protestò, ridacchiando nonostante la febbre che le faceva vedere quadruplo. Per questo, forse, si ritrovò quattro Michiru che le urlavano nel naso, travolte dall’assalto di Haruka proprio quando stava per avere il suo trionfo.
«Michiru, io ti rapo a zero!» ruggì, quando si accorse di avere una giungla di riccioli azzurri sulla faccia.
«Non osere—AHIA!» tentò di ribattere lei, improvvisamente zittita da un cazzotto vagante di Hotaru. Haruka non poté trattenersi, e scoppiò a ridere non appena trovò l’aria sufficiente per farlo. Durò poco: sfidando ogni legge di gravità, un piede ricamato di Spank saltellanti le finì giusto sulla fronte, seguito dal resto del corpo della bambina, che sarebbe caduta dal letto se lei e la sua ragazza non l’avessero riacchiappata per un lembo del pigiama.
Setsuna assisteva alla scena, sgomenta.

the rain'll be gone in the morning

A gattoni, Michiru cercava di sfuggire a quella follia progressiva.
Purtroppo per lei, Hotaru e Haruka le piombarono addosso con un balzo formidabile. Non le rimase che la resa.
Seguì un nanosecondo di silenzio in cui le tre, ancora incastrate insieme come pezzi di Lego, si fermarono in bilico sul bordo del letto per guardare Setsuna con la loro migliore espressione da bambine contrite.

but I'll still be here in the morning

Lei sospirò.
«Bene, adesso che vi siete calmate-EEH!» ululò, sbilanciata a tradimento dalla mano di Hotaru che l’aveva afferrata per la gonna. Cadde addosso ad Haruka, che, incapace di tenersi il proprio disappunto per sé, si lasciò scappare una mezza imprecazione, guadagnandosi un pizzicotto da Michiru, che tranciò l’altra metà.
«Ra-Ragazze, ragazze, a differenza vostra io ho fatto colazione, da brave, su!» cercò di convincerle Setsuna, un momento prima che Hotaru si intrufolasse in mezzo a quel groviglio di gambe e braccia in uno slalom al limite dell’umana resistenza.
«Il mio calzino!» disse
«Il calzino?» chiese Haruka, da qualche parte fra i capelli di Michiru
«L’ho perso!» specificò
«Sarà nel letto!» tentò di articolare Michiru, che avrebbe volentieri ripreso possesso della propria testa, con chioma annessa, nonostante il forte dissenso dei bottoni del pigiama della ragazza su di lei.
«Vedi sotto di me.» suggerì Setsuna. Se ne pentì amaramente quando la bambina cominciò di nuovo a farsi strada fra di loro: soffriva immensamente il solletico. La faccenda innescò un secondo irrefrenabile coro di risa e gomitate involontarie.
«Ma possibile che debba sempre finire tutto così?» gemette Setsuna.
Haruka e Michiru, oramai sul punto di soffocare, non le risposero.
Nel frattempo, Hotaru, immersa a capofitto nella propria ricerca, non poté fare a meno di pensare che, se la battaglia di cui loro tre parlavano tanto era di quel tipo, doveva essere proprio divertente.


~
* Hotaru significa lucciola.
~

A/N 11 dicembre 2006, ore 22:06. Finita ieri verso mezzanotte e mezza, stralci di canzone (Lullabye – sì, scritto così – For a Stormy Night di Vienna Teng) aggiunti nel primo pomeriggio, note messe solo ora, causa pigrizia maledetta XD. Partecipante alla seconda edizione del concorso di fics di True Colors, forse si presta proprio poco come songfic come la consegna richiede, quindi mi sento antisportiva XD ho fatto quel che ho potuto. Della storia in sé, ho semplicemente adorato scriverla nonostante il finale estremamente restio ad uscire…^^;;. È ambientata all’inizio della quinta serie, quando Hotaru ha appena cominciato a crescere a velocità esponenziale. Ho sempre creduto che la mia prima fic sulla serie della mia infanzia (nonché una delle mie preferiti ancora adesso, dato che sto guardando l’anime originale) sarebbe stata su Usagi e Mamoru, ma sono finita a scrivere delle due Senshi che odiavo da bambina… e che adesso amo probabilmente più di tutte. L’idea è partita non appena ho saputo che Hotaru non solo vive con Haruka e Michiru (che ho imparato ad amare assai in fretta <3), ma le chiama proprio “Haruka-papa” e “Michiru-mama”! Chi conosce il mio amore per le famiglie atipiche può già tirare le somme, volevo insistere un sacco sull’attitudine paterna di Haruka e sulla sua inclinazione a coccolare la sua bambina.
Uhm… dato interessante, questa è la mia prima shoujo-ai. Solo che non è una fic romantica in senso proprio: i momenti di assurdità su cui la fic deve vertere sono troppo insiti con quelli di tristezza&spuccio, almeno credo. Ed era esattamente nelle mie intenzioni, se per caso l’avete riscontrato XD. Quelle peripezie senza logica sono state di gran lunga le più piacevoli da buttare giù e sono state anche le prime idee a schizzar fuori XD che esperienza galvanizzante *_*. È stata impegnativa, però. Anche come gestione della trama. Una medaglia al valore a Michiru (non lei, la mia amica XD) che mi ha evitato un OOC disastroso… ma, soprattutto, grazie a Giorgia, a Ilaria e Francesca, a cui dedico tutta la baracca XDDD. Quanto alla prima citata, il suo amore per questa cosa amena ne è stato il motore <3. Grazie della carica che mi hai dato… e… beh (XD Bila, rivedi le tue priorità stavolta XDDD), Bila e Francy detengono il merito (o la disgrazia? XD) del calore puccio che deriva dai nostri puccimeeting squinternati, perché devo gran parte delle mie ispirazioni a questo conturbante fenomeno XDDDDDDD.