“Ora?”
chiese la ragazzina incrociando le braccia al petto con uno sguardo severo. A
vederla, ora, non sembrava affatto una ragazzina della sua età, nei suoi occhi
si leggeva decisione e testardaggine non comune per una ragazzina di tredici
anni “è proprio come suo padre” pensò Hitomi sorridendole malinconicamente
“testarda come un mulo”. Shyntia la fissò con aria interrogativa,c ome se
aspettasse una risposta, un sopracciglio biondo lievemente inarcato “un giorno
lo farò” rispose semplicemente la Regina. Non aveva la forza, adesso, di
ribattere, e tese le braccia in avanti, stringendo a sé la figlia e
costringendola a sedersi sulle sue ginocchia “sei arrabbiata?” le chiese
scostandole una ciocca di capelli dalla fronte, mentre Shyntia se ne stava a
testa bassa, fissando pensosamente il pavimento di marmo bianco sotto i suoi
piedi. Erano sedute sul letto, ora, sedute una accanto all’altra, la testa
della ragazza poggiata sulla spalla della madre,l o sguardo perso nel vuoto, gli
occhi verdi lucidi e vacui, assenti, entrambe perse nei loro pensieri, tanto che
Shyntia non rispose alla madre, non l’aveva nemmeno sentita, e Hitomi non
aspettò neppure la risposta, sprofondando nei suoi pensieri. Un silenzio
profondo calò nella stanza, interrotto solo dal lieve frusciare dei rami degli
alberi del giardino, mossi dal vento gelido della sera. Si era appena
all’inizio dell’ autunno, eppure il freddo cominciava già a farsi sentire
pungente, e le piogge erano sempre più frequenti e prolungate, rinfrescando
ancora di più l’aria e ricoprendo di rugiada argentata gli alberi e l’erba,
di cui vagamente si sentiva l’odore pungente anche da lì. Shyntia alzò lo
sguardo verso il grande specchio che stava di fronte
a loro, proprio dirimpetto al letto, alto più di lei, con una lucente
cornice d’oro finemente intagliata che risplendeva alla luce tenue delle lune
nel crepuscolo. Un riflesso. Piccolo e insignificante, che attraversava la
superficie liscia e argentata, un guizzo di fiamma, debole e piccolo quanto la
luce di una stella. Shyntia socchiuse gli occhi. Il riflesso ricomparve, più
vivido, più lucente, quasi vivo, quasi come se fosse un essere umano che
nasceva dal riflesso dorato della luce della luna sulla superficie dello
specchio. Un volto. Poteva vedere un volto umano, piccolo, a stento vedibile,i
contorni lievemente marcati rispetto ai particolari nebbiosi e confusi del
volto. Non riusciva a vedere altro, era troppo sfocato. “Shyntia..” la voce
bassa e gentile di sua madre la scosse dai suoi pensieri. L’immagine sparì,
così come era apparsa, e la superficie dello specchio tornò ad essere
esattamente come era prima, cancellando ogni segno del volto “Shyntia!” la
voce stavolta era più decisa e alta, e una mano si era posata sulla sua spalla,
scotendola leggermente. Shyntia alzò lo sguardo, riportata finalmente con la
testa sulla terra, e incrociò il suo sguardo con quello preoccupato della madre
“è successo qualcosa?” le chiese,senza distogliere lo sguardo. “Non
l’hai visto?” chiese Shyntia, sorpresa: come era possibile che sua madre non
l’avesse visto? Possibile che se ne fosse accorta soltanto lei? “cosa dovrei
avere visto?” chiese la Regina fissando ancora più preoccupata la figlia
“il riflesso” disse Shyntia, puntando il dito contro lo specchio, con uno
sguardo sorpreso. Hitomi voltò lo sguardo verso il punto indicato dalla
figlia,ma non vide altro che un enorme specchio che le rifletteva entrambe
“c’era.....c’era un volto prima..un volto umano....” disse Shyntia
voltando lo sguardo dallo specchio alla madre, che continuava a fissarla con
espressione preoccupata ed incredula “mamma, io l’ho visto davvero!” sbottò.
Sua madre non poteva certo pensare davvero che lei fosse impazzita! Lei lo aveva
visto davvero, ne era più che sicura! “Ti senti bene, Shy?” le chiese la
donna posandole una mano sulla fronte “sei sicura di non avere la febbre?”
“mamma!!” esclamò la ragazza scostandosi di colpo, infastidita “ti dico
che ho visto davvero un volto umano nello specchio!” Hitomi scosse la testa,
stancamente “sarà stato sol un riflesso delle lune, Shy, non puoi aver visto
veramente un viso…..forse, sei solo stanca…..e chi potrebbe biasimarti?”
sussurrò, con un fil di voce, mentre una lacrima cominciava a caderle dalla
guancia, finendo la sua corsa sulla coperta di seta del letto. Shyntia abbassò
lo sguardo, cercando con tutte le sue forze di non piangere. Ormai, aveva speso
tutte le sue lacrime, da quella mattina, ma, ogni volta che qualcosa glielo
ricordava, la morte del padre le ritornava alla mente, e di nuovo piangeva....non
voleva farlo, pensava di non aver più lacrime,eppure…..un lieve bussare alla
porta le interruppe, facendole voltare verso la porta. Hitomi farfugliò un
“avanti” asciugandosi frettolosamente le lacrime, e una donna si fece
timidamente avanti, spingendo lentamente la porta di legno. Non doveva avere più
di cinquant’anni, non eccessivamente alta e piuttosto robusta, il viso quasi
totalmente coperto da una maschera di grasso molle e rugosa,i piccoli e
teneri occhi castano scuro apparivano ancora più piccoli fra le rughe profonde
del viso, e i capelli castani striati di grigio raccolti in una pesante treccia
sulle spalle, lunga fin quasi alla vita. Si fece avanti, piuttosto velocemente
per il suo peso e l’età, gli occhi cerchiati, stanchi e rossi di pianti,
tormentandosi le mani callose e rugose, e, dopo aver fatto una deferente
inchino, disse molto educatamente, senza alzare la voce più di un sussurro roco:
“Perdonatemi, Regina, devo condurre vostra figlia a letto…” chinò la
testa, umilmente, aspettando una risposta per alzare lo sguardo triste e stanco
sulle due, in un segno di rispetto e umiltà addirittura esagerate. La Regina
sorrise, accarezzando i capelli di Shyntia, facendo cenno alla donna di alzarsi
“ti ringrazio, Erzath, ma per stasera Shyntia rimarrà a dormire qui, come
quando Van era ancora vivo, vero tesoro?” chiese alla figlia dolcemente, ed
ella annuì “per stasera vorrei dormire qui, Erzath” comunicò alla donna.
Erzath, che era stata la balia di Eyes e di Shyntia, era un brava donna che
proveniva da una semplice famiglia di Fanelia, e che era stata assunta al
servizio della famiglia reale quando era nata Eyes. Più che allattare le
bambine, cosa che faceva quotidianamente la Regina, Erzath si occupava di loro
durante la giornata, quando erano neonate facendo bene attenzione che fossero
ben coperte e che dormissero, portandole dalla madre per essere allattate quando
queste avevano fame, occupandosi della loro pulizia e della loro salute, e
quando erano cresciute, sorvegliandole costantemente, sebbene non in modo
ossessivo, controllando che frequentassero le loro lezioni quotidiane e
prendendosi cura di loro quando i genitori erano assenti o impegnati. Era un
ottima balia, certamente, ma era anche una donna cresciuta fra il popolo, e come
tale, aveva le sue credenze e le sue superstizioni, che regolavano la sua vita
in modo quasi morboso, e inoltre aveva il vizio di essere fin troppo formale e
rispettosa. Sebbene desse del tu a Eyes e Shyntia, non si permetteva mai di
scambiare più di una decina di parole con i sovrani e le persone più ricche e
potenti di lei, con un educazione che rasentava l’esagerazione.
Nonostante
tutto, era stata una balia perfetta per le bambine, e sia Hitomi che Van erano
molto contenti del suo lavoro e dell’amore che aveva per le figlie.
Ogni sera, puntualmente,un paio d’ore
dopo il tramonto, andava a cercare il
palazzo e il giardino le due Principesse (adesso lo faceva soltanto con Shyntia,
perché ormai Eyes era abbastanza grande da poter rimanere sveglia più a lungo,
e anche da piccola aveva accettato di buon grado di addormentarsi a quell’ora,
mentre Shyntia vi si ribellava testardamente) e le conduceva nelle loro
camere,per prepararle per la notte. Regolarmente, entrambi i sovrani, anche se
avevano avuto una giornata pesante, passavano per le camere delle Principesse
per augurare loro la buonanotte. Era un “rito”, ormai, che andava avanti da
anni. Ma capitava anche spesso che una delle due rimanesse a dormire nella
camera Reale, quindi Erzath non si stupì quando Hitomi le comunicò che Shyntia
avrebbe dormito nella camera della madre. Si limitò a fare una altro profondo
inchino, e ad uscire silenziosamente dalla stanza, richiudendo la porta dietro
di sé. Hitomi si infilò sotto le coperte, facendo segno alla figlia di
distendersi accanto a lei, e Shyntia non se lo fece ripetere due volte. Stretta
fra le braccia della madre, chiuse gli occhi, mentre un torpore meraviglioso
l’avvolgeva, e il sonno cominciava a farsi avanti. Le apparve per la centesima
volta nella mente, in quella lunga e angosciosa giornata, l’immagine di suo
padre. Le sembrava di averlo di fronte, con i suoi profondi occhi neri, i
lineamenti delicati e gentili, i capelli d’ebano che si muovevano lievemente,
mossi da un leggero venticello, mentre le sorrideva come solo lui sapeva fare,
un sorriso che era dedicato solo a
lei. Le sembrava di sentire la sua voce calda e affettuosa, mentre le
sussurrava, prima che si addormentasse “buonanotte, mia piccole
Principessina” Shyntia ingoiò, nel tentativo di impedire che le lacrime le
scendessero di nuovo sulle guance, ma anche stavolta non poté impedirlo, e di
nuovo le scesero lungo il viso, portando sollievo alle sue gote infuocate,
mentre un pensiero si faceva strada nella sua mente: “Papà....”
“Mia sorella
rimarrà a dormire con mia madre?” chiese Eyes ad Erzath, con voce incolore,
fissando il paesaggio notturno delle foreste di Fanelia dalla finestra della sua
camera “si,Eyes” rispose la donna, fissandola con sguardo sospettoso
“capisco..” mormorò la ragazza. Rimase per qualche secondo immobile, gli
occhi persi nel paesaggio, poi, si scosse improvvisamente, e si scostò dalla
finestra, spostando lo sguardo verso la balia “Erzath, aiutami a prepararmi
per la notte, per favore” un ordine preciso,gentile, ma imperativo, come era
solita fare con la servitù. Erzath annuì distrattamente, avviandosi verso
l’armadio, da dove tirò fuori una lunga camicia da notte color panna,
semplice e senza fronzoli, lunga fin sotto il ginocchio, e la adagiò
morbidamente sul letto, dirigendosi verso il bagno, dove Eyes si stava
spogliando dell’abito. La ragazza si immerse nell’acqua tiepida con un
sospiro di sollievo,l asciando che i suoi muscoli si rilassassero e la tensione
si allentasse, stiracchiandosi pigramente nella piccola vasca di legno. Erzath
si accomodò su una sedia lì vicino, facendo finta di leggere una libro,
lanciando sguardi di sbieco ad Eyes, e volgendo lo sguardo non appena la ragazza
se ne accorgeva, fingendosi tutta assorta nella lettura. Eyes sbuffò,
infastidita, e si posizionò più in alto nella vasca, appoggiando mollemente la
testa al bordo “cosa c’è?” chiese, seccata “niente” rispose Erzath
alzando le spalle “ e invece c’è qualcosa, confessa, cosa c’è? Ha a che
fare” e la ragazza arricciò il naso “ha a che fare con mia sorella?”
Erzath posò il libro, cupamente “ne parli come se Shyntia fosse solo un peso
o che so io, per te” Eyes sbuffò di nuovo. Non aveva voglia di far un
discorso del genere “che dici? Shyntia non un peso,è solo una ragazzina....”la
balia scosse la testa “ appunto….tu non puoi soffrire tua sorella perché
sei convinta che i tuoi genitori vogliano più bene a lei che a te, anzi, adesso
che tuo padre non c’è più, che tua madre voglia bene solo a lei….vero?”
e si girò verso la ragazza con un sopracciglio lievemente inarcato, aspettando
che rispondesse, incrociando le braccia robuste sul petto. Eyes non rispose
subito, rimanendo assorta nei suoi pensieri “forse….e comunque, non posso
farci niente, l’affetto non si impone…..” concluse tristemente,
giocherellando con l’acqua della vasca. “L'amore di un padre e di una madre
è lo stesso per entrambi i figli, Eyes Fanel, ricordatelo….” sussurrò la
balia uscendo dalla stanza da bagno.
Eyes la vide
andare via, con una espressione triste nei vellutati occhi scuri, e sospirò,
fissando il soffitto sopra di lei. Erzath
forse aveva ragione, ma fin da quando aveva cominciato ad avere l’età giusta
per capire quello che le stava intorno, aveva cominciato a sospettare che la
sorellina minore fosse preferita dai genitori, che l’amassero più di quanto
amassero lei. Non ricordava quando aveva cominciato ad essere invidiosa di lei,a
non giocare più con la bambina come faceva prima, non vederla più come negli
anni passati…..stava cominciando ad odiarla, seriamente, se non fosse arrivato
il ragazzo che poi avrebbe cambiato la sua vita…..il generale Yuia.
Ricordava in
ogni minimo particolare della prima volta che l’aveva visto, una mattina
d’estate di sette anni prima. Allora, Eyes era un assennata ragazzina di
undici anni, che si preparava a diventare una Regina colta ed elegante, regale e
gentile in ogni suo comportamento, e Shyntia era una bambolina tenera e rosea di
sei anni, testarda e paffuta, che con quei suoi enormi occhioni verde giada
sembrava voler guardare tutto e tutti con curiosità e ingenuità infantile, ma
che, all’evenienza, sapeva essere testarda e cocciuta come un mulo. Un gruppo
di giovani soldati si stava allenando nel cortile della reggia dedicata
all’addestramento dei nuovi soldati o ufficiali, ed Eyes, tenendo per mano la
sorellina, che saltellava allegramente di qua e di là, felice di poter
assistere all’allenamento dei soldati, stava tranquillamente passeggiando, con
quel suo portamento regale che sembrava addirittura comico per una bambina di
quell’età, quando le grida di Shyntia e i suoi continui strattoni la
costrinsero a fermarsi. “Là, là, sorella, andiamo là!” gridava con quella
sua vocetta squillante la Principessina, indicando col ditino grassottello due
ragazzini dell’età di Eyes che lottavano fra di loro, in un duello
amichevole. La ragazza più grande arrossì: entrambi erano a torso nudo, e
lottavano sotto il sole cocente, mentre rivoli di sudore scendevano lungo la
schiena e sul viso, inzuppandone i capelli. Shyntia batteva le mani
gioiosamente, ma Eyes osservava come incantata. Non aveva mai visto un
combattimento, prima d’ora, o, almeno, non così da vicino, ed era rimasta
come ipnotizzata dai movimenti veloci e scattanti dei due duellanti, dalle loro
voci che si incitavano a vicenda, dalla contrazione della membra lucide di
sudore……uno dei due ragazzi riuscì, con un abile mossa, a disarmare
l’altro, e puntò la propria lama sulla gola del compagno, ansimando. Le due
sorelle non potevano vederlo in viso, essendo di spalle, ma anche da dietro
riuscivano a vedere che il ragazzo era estremamente soddisfatto della piccola
vittoria. Il giovane che era stato sconfitto dal compagno, girò lo sguardo
verso di loro, accorgendosi della loro presenza, e il suo viso assunse un
espressione sorpresa “Mercha……girati” sussurrò al compagno, fissandole
confuso e sorpreso, accennando un piccolo inchino di saluto, mormorando qualche
parole di circostanza. Anche Mercha si voltò bruscamente, e nel trovarsi di
fronte a Eyes e Shyntia, rimase lì, immobile, come stralunato. Non si accorse
nemmeno della presenza di Shyntia, fissando immediatamente lo sguardo su Eyes, e
lei fece lo stesso. La sorella, il compagno di Mercha, e il resto del mondo, per
lei scomparve, non esisteva più, non c’erano, semplicemente. Era vagamente
consapevole della stretta della manina della sorellina nella sua, ma adesso
nemmeno quello importava, lo aveva cancellato dalla sua sfera cosciente. Fissava
gli stupendi occhi azzurri che stavano di fronte a lei, senza vedere o udire
nient’atro. La voce del maestro dei paggi le arrivò lontana, come a
chilometri di distanza, ovattata e quasi spettrale, e (e lei ne era sicura), le
stessa cosa succedeva al ragazzo che aveva di fronte “vi presento un nostro
nuovo paggio, Altezza, Mercha Yuia:è arrivato da poco, ma è già diventato uno
dei nostri migliori allievi, farà molta strada…” Mercha fece un piccolo
inchino, farfugliando qualche parola di circostanza, arrossendo lievemente “e
queste ragazze, Mercha” stava dicendo il maestro indicando Eyes e Shyntia “
sono Eyes e Shyntia Fanel, le figlie di Re Van” Mercha non fece assolutamente
caso al titolo nobiliare della ragazza, per lui, quella era semplicemente una
angelo, e non importava se fosse di un ceto sociale più alto del suo, e da
parte sua, Eyes non udì nemmeno il discorso del maestro, afferrando solo il
minimo indispensabile. Una volta, un bardo, nel cantare la storia d’amore dei
sovrani di Fanelia, aveva detto che,i n qualunque era o tempo o circostanza i
due si sarebbe incontrati, non avrebbero potuto fare a meno di innamorarsi, a
prescindere dal loro ceto sociale. La stessa cosa era successa fra Eyes e Mercha.
Per loro due, non aveva nessuna importanza che una fosse una Principessa
Reale e l’altro un comune soldato, anche se sarebbe diventato uno dei
migliori generali del Regno. Importavano solo i loro sentimenti, nient’altro.
Col tempo, presero ad incontrarsi sempre più spesso. Eyes, con la scusa di
accompagnare la sorella ad esercitarsi con Mercha Yuia, rimaneva con lui anche
quando l‘esercitazione era finita, anche semplicemente stando in silenzio,
seduti uno accanto all’altra. Allora, quando si erano incontrati, Shyntia
prendeva già da un anno lezioni di scherma, ed erano tre le persone che le
insegnavano: suo padre, il cavaliere Allen Shezar e il generale Yuia. E solo col
ragazzo Eyes si apriva, a cui raccontava quanto si sentisse inferiore e meno
amato della sorellina, come ne soffrisse. “non mi vogliono bene!” aveva
sbottato una sera, tra i singhiozzi “io non valgo quanto mia sorella!”
Mercha l’aveva presa per un braccio, costringendola a guardarlo in faccia,
fissandola con quel suo sguardo penetrante “ non devi dire così” le aveva
detto. Eyes era rimasta lì a fissarlo, senza avere nemmeno il coraggio di
respirare, per paura che tutto scomparisse all’’improvviso. I loro visi
erano vicinissimi, si sfioravano quasi, e lui, lentamente, avvicinò il suo viso
al suo, e la baciò. Quella, era il primo bacio per entrambi, e nessuno dei due
riuscì mai a dimenticarlo. Da allora, da quella sera in cui si erano baciati,
all’ombra degli alberi del giardino, non si erano mai più separati, erano
rimasti uniti, pur non potendo farlo alla luce del sole. Dovevano vedersi di
nascosto, comportarsi come se non fosse successo niente in pubblico.
All’apparenza, Eyes poteva essere sempre la stessa, ma dentro di lei, qualcosa
stava cambiando, e per sempre. Ormai, era consapevole di essere gelosa di
Shyntia, ma non lo avrebbe mai confessato.
Eyes rabbrividì,
riscotendosi dai suoi pensieri. L’acqua era diventata fredda. Uscì dalla
vasca, avvolgendosi in una lunga vestaglia e sfregandosi il corpo sia per
asciugarsi, sia per cercare di ritrovare un po’ di calore. Tremando di freddo,
raggiunse la grande camera attigua alla stanza da bagno, dove cera il suo letto.
Erzath stava china sulle lenzuola, sprimacciando i cuscini ricoperti di seta
rosa pastello, e nel sentire il passo di Eyes, alzò verso di lei due occhi
stanchi e cerchiati, sorridendole debolmente.. “doveva essere molto stanca”
pensò la ragazza ricambiando il sorriso. La balia si avvicinò a lei, e
l’aiutò a infilare la camicia da notte, in silenzio. Poi, afferrò una
spazzola dal comodino di mogano scuro, e lo passò tra i morbidi capelli neri di
Eyes, umidi e freddi per il bagno “ti chiedo scusa..” sussurrò, senza
alzare lo sguardo. Eyes sorrise “non devi…non ce ne è bisogno…” si girò
sorridendo alla balia,a bbracciandola affettuosamente. Il suo corpo sottile e
slanciato quasi scompariva tra le curve di grasso dell’opulento corpo di
Erzath. La donna le sorrise, accarezzandole teneramente la guancia, afferrò
sottobraccio gli abiti della ragazza, ed uscì velocemente dalla stanza, con
quel suo passo felino, incredibilmente scattante per una donna della sua età.
Eyes rimase qualche istante in piedi in mezzo alla stanza, immobile come una
statua, poi rabbrividì. Avrebbe fatto meglio a mettersi a letto “e farei
anche meglio a chiudere la finestra, se non voglio prendermi una polmonite”
pensò ironicamente, chiudendo la finestra e avviandosi verso il letto. Si
sdraiò fra le coperte calde e morbide come una piuma di pulcino, e chiuse gli
occhi, aspettando il sonno…..
Hong Kong,
Cina.
Ai tempi del
comunismo,l a città era sotto il controllo dagli inglesi, privata del diritto
di essere città cinese. A quei tempi, la città era un enorme sobborgo di
ricchi e poveri, che si mescolavano fra di loro fra le immense strada
sovraffollate. Accanto alle sfarzose ville dei ricchi ,sorgevano le semplici
capanne dei poveri, stridendo indicibilmente con l’atmosfera maestosa che le
meravigliose ville sfarzose davano a chiunque le ammirasse. La Cina era un paese
che cercava di unificarsi, allora, come aveva cercato di farlo dall’inizio del
novecento, ma ora….Hong Kong era ufficialmente una città cinese, e nessuno
avrebbe potuto dire il contrario. Contava moltissimi abitanti, anche stranieri,
e la popolazione sarebbe continuata a crescere, se il governo cinese non fosse
intervenuto per bloccare la crescita demografica: le famiglie, non potevano
permettersi di avere più di sue figli, a costo di perdere il diritto per la
casa.
Chijo sedeva
stiracchiandosi pigramente sul divano di casa, un libro posato in grembo, il
testo di algebra svogliatamente gettato sul pavimento, il quaderno, pieni di
orecchie e scarabocchi, a pochi centimetri di distanza. Socchiudeva gli occhi,
per proteggerli dalla luce del sole nascente.
Era l’alba, e la casa era avvolta nel silenzio e nella semioscurità, ma a
Chijo importava poco o niente. Le piaceva restare da sola, nel silenzio, a
vedere il sole sorgere. Le piaceva ammirare i colori dell’alba, caldi e
misteriosi, e vedere la luce schiarirsi piano piano, fino a diventare piena luce
mattutina. Non le importava nemmeno di svegliarsi presto. Pensava che non
valesse niente perdere tempo a dormire se si perdeva uno spettacolo simile.
Sbadigliò, più per svegliarsi completamente che per sonno, e raccolse
svogliatamente il libro di algebra, poggiandolo sulla sedia di fonte al divano.
Si chinò, protendendosi in avanti, per riuscire ad arrivare al quaderno, ma
qualcuno fu più veloce di lei. Chijo alzò gli occhi,s orpresa: non potevano
essere Sujin o la madre, perché a quell’ora ci sarebbero volute le cannonate
per buttarle giù dal letto, e non poteva essere nemmeno suo zio, visto che non
sarebbe tornato che quel pomeriggio. Sua nonna le sorrideva, poggiandosi
tranquillamente il quaderno sciupato in grembo, sedendosi sul divano accanto a
lei. “Nonna?…” chiese Chijo sorpresa, mettendosi a sedere. La donna
sorrise di nuovo, rigirandosi tra le mani il quaderno della ragazza “è
sciupato, Chijo…dovresti avere più cura della tua roba..” “che ci fai qui
a quest’ora, nonna?” la interruppe Chijo dando un’occhiata all’orologio,
poi, ricordandosi della domanda, rispose velocemente: “è solo il mio quaderno
di algebra, nonna, lo prendono in mano si e no ventimila persone non so quante
volte al giorno, a scuola e a casa…” la donna rise piano “ma non odiavi
l’algebra? Mi sembrava che tu non andassi molto bene, a scuola…” Chijo
sorrise, passandosi una mano sui capelli spettinati “beh, motivo in più per
avere i quaderno disordinati, no? Comunque, lo prendono in mano tante persone
solo perché in classe, quando non riesco a farli, mi faccio copiare da qualcuno
gli esercizi” e davanti all’espressione dubbiosa della nonna, continuò,
cercando di aggiustarsi la camicia di due taglie più grande che usava come
maglia del pigiama, lisciandosi il pantalone della vecchia tuta di Sujin, che
usava appunto come pantalone per dormire “Il professore, sapendo del mio vizio
di, ehm…copiare, mi ha messo al primo banco…” “capisco” disse la nonna
posando il quaderno. Chijo tentennò qualche minuto, prima di domandarle cosa ci
facesse lì a quell’ora. La donna guardò melanconicamente il sole, con gli
occhi lucidi “sai” sussurrò “quando Hitomi è andata via di casa, avevo
preso l’abitudine di svegliarmi
presto, di mattina, e di rimanere seduta a vedere l’alba, per stare da sola,
mentre tutto il mondo taceva…c’erano tante voci, avevo bisogno di silenzio,
ma anche durate il giorno, in una stanza vuota, sapevo che qualcuno parlava,
mente all’alba” Chijo chinò il capo, mordendosi il labbro. Sapeva
esattamente cosa voleva dire sua nonna, lo aveva passato sulla sua pelle per tre
anni “tra due mesi compirò quattordici anni” pensò malinconicamente “ e
poi? ” ancora quella domanda,l a tormentava da anni: “e poi?” cosa avrebbe
fatto negli anni successivi? A diciott’anni? Non era eccessivamente
intelligente, non nelle materie scolastiche, almeno, e l’unica in cui riusciva
un tantino meglio era la ginnastica “peccato che la ginnastica, come materia,
non conti assolutamente nulla nella vita…cosa mi metto a fare, da maggiorenne?
L’insegnante di educazione fisica?” pensò ironicamente. Che avrebbe fatto
da adulta? Prendeva già brutti voti a scuola, alle interrogazioni e ai compiti
passava per puro miracolo, quanto alla disciplina…..Chijo scosse la testa: non
voleva mettersi a pensare a quelle cose ora che c’era sua nonna. Era arrivata
da un mese appena, ma già in casa si respirava aria nuova. “Cosa c’è,
Chijo?” chiese sua nonna. Chijo sorrise, rivelandoglielo, nonostante non ne
avesse molta voglia “non preoccuparti” le disse sua nonna accarezzandole i
capelli dorati “ hai appena tredici anni” “quasi quattordici” precisò
Chijo “va bene,quasi quattordici…hai tempo per migliorare, no?” la ragazza
scosse la testa, poco convinta “non credo, nonna..”.La donna sorrise
tristemente, sospirando “e quel tuo amico olandese?” chiese,s orridendo
maliziosamente “Wu?” chiese Chijo contrariata. L’altra annuì “è uno
stupido” rispose la ragazza, seccata “perché ti chiama Maisawa,s e il tuo
cognome è Kanzaki?” chiese curiosa la nonna. ”Perché deve prendermi in
giro…usa il cognome di Sujin, perché vuole farmi arrabbiare, dice che sono
comica quando mi arrabbio” Chijo divenne paonazza dalla rabbia. La donna
sospirò di nuovo, malinconicamente “credo” sussurrò voltando di nuovo lo
sguardo verso il tramonto che cominciava a tingersi di un caldo color cremisi
“credo che sia arrivato il momento di dartelo…” “cosa vorresti
darle?!” tuonò a voce non eccessivamente alta un uomo dietro di loro. Chijo e
la nonna si voltarono di scatto trasalendo. La ragazza socchiuse gli occhi,
cercando di capire chi stesse parlando “nonno?” chiese, esitante “cosa
volevi dare a nostra nipote, Miyuki?” tuonò l’uomo rivolgendosi rudemente
alla moglie, che restava immobile senza fare una piega, ferma nel suo proposito,
sconosciuto a Chijo “il ciondolo” rispose la donna, calmissima “no!” un
ordine netto, preciso, quasi brutale: l’espressione dell’uomo era talmente
feroce da far paura, ma Miyuki Kanzaki non si mosse, né si spaventò, si volse
verso la nipote, sfilandosi qualcosa dal collo, scostandosi bruscamente i
capelli biondo scuro dalla nuca che le impedivano l’operazione,e porse
qualcosa a Chijo nel pugno chiuso. Lo sguardo del signor Kanzaki si fece duro e
freddo, e distolse seccamente lo sguardo, con rabbia e disgusto. Chijo rabbrividì:
come poteva suo nonno comportarsi così? Abbassò lo sguardo verso il pugno di
sua nonna, passando qualcosa di caldo e rotondo nel proprio pugno. Al tatto,
sembrava un ciondolo tondo o ovale, con una lunga catenina. Aprì il pugno di
scatto, ignorando suo nonno che si stava avvicinando furioso, attraversando il
soggiorno con un lampo d’ira negli occhi, e si concentrò sul ciondolo che
aveva in mano: era di un rosa pallido, a forma di cuore, piccolo, sostenuto da
una catenina d’oro sottile “cos’è?” chiese alzando lo sguardo verso la
nonna, che la fissava sorridendo “tua zia me lo diede prima di andare via, mi
disse che ci avrebbe sempre unite…..è una copia di un ciondolo che le aveva
dato sua nonna..” gli occhi le si riempirono di lacrime. Chijo abbassò di
nuovo lo sguardo verso il ciondolo, con le lacrime agli occhi. Non sapeva
nemmeno lei perché stava piangendo, ma
sapere che stringeva fra le mani qualcosa che sua zia aveva creato prima di
andarsene, le dava una fitta al cuore. “Zia....” sussurrò mentalmente.
Un attimo prima
che suo nonno piombasse su di lei per strapparle di mano il ciondolo, una strana
luce la avvolse, spingendola verso l’alto. I suoi nonni osservarono la scena a
bocca aperta, afferrandola istintivamente per la camicia, nel tentativo di
bloccarla, le gole strette in una morsa di terrore, ma la colonna trasportò
anche loro, sparendo così come era apparsa, lasciando il vuoto dietro di sé…….
Il
soldato sorrise “allora lo abbiamo trovato”
“noi
non abbiamo la minima intenzione di fare del male a voi,a vostra moglie, o a
vostra nipote, siamo qui per..” ma non potè continuare, interrotto dal
vecchio “non raccontare fandonie, ragazzo! Sono nato prima di te”
“nonno!”
replicò Chijo esasperata “i signori qui presenti non hanno voglia di sentire
le tue opinioni sui giovani d’oggi”
“oh
le ascolteranno, invece!”si intestardì suo nonno “le sentiranno eccome!e
guarda che ho molto da ridire anche su di te, signorinella” e puntò di nuovo
il dito contro la nipote “e sulla zia, e su quel ragazzo, e su quello che è
successo….quanto tempo fa? Vent’anni? Smettila di vivere nel passato, nonno,
pensa al presente, ormai è fatta, non c’è bisogno di serbare tanto rancore,
a che serve?” già, a che serve?
Una
voce giovanile li interruppe “che succede qui?”
Una
ragazzo a cavallo li raggiunse, cavalcando elegantemente il proprio animale,
avanzando piano fra i presenti. Chijo sgranò gli occhi. In vita sua, non aveva
mai visto un ragazzo che avesse un aspetto così….regale. Regale, era la
parola giusta, per quel ragazzo che avanzava sicuro, i capelli d’oro, chiari
quanto i suoi, che volavano attorno al viso delicato, dai lineamenti sicuri, gli
occhi azzurri che scintillavano alla fioca luce solare che penetrava fra gli
alberi. Lasciò vagare lo sguardo sui soldati, che si inchinarono
rispettosamente, sorpresi, ai signori seduti ai piedi dei cavalli, alla ragazza
bionda sul cavallo. Posò lo sguardo su di lei, l’espressione impassibile che
cambiava in sorpresa. Quegli occhi. C’era una sola persone che conosceva, che
avesse quegli occhi. Chijo alzò lievemente un sopracciglio, infastidita. Aveva
sempre odiato essere fissata dai ragazzi, mentre sua cugina Sujin lo trovava
delizioso, addirittura divertente. Chijo l’aveva sempre considerata un ragazza
superficiale, un oca senza cervello che non era capace di fare le proprie
scelte. E l’aveva disprezzata per questo. Ma lei, Chijo Kanzaki, non aveva mai
potuto soffrire gli sguardi che i ragazzi, e a volte anche le persone più
anziane, le lanciavano guardandola, seguendola con lo sguardo quando faceva il
suo ingresso in una stanza, finchè non ne usciva, sospirando di sollievo, lieta
di essersi liberata di quegli sguardi che sembravano strisciarle sulla pelle
come sanguisughe. Con tutto che le sanguisughe l’avevano sempre affascinata,
non sopportava essere fissata “beh?”
chiese in tono neutro al ragazzo “che c’è da guardare? Mai vista una
ragazza in vita tua?” i soldati si scambiarono di nuovo sguardi allibiti: come
poteva quella ragazzina osare parlare in questo modo al Principe?. Il ragazzo
sorrise, inchinandosi leggermente “avete ragione, non dovrei, sono stato
scortese, ma i vostri occhi mi ricordano quelli di una persona” Chijo lo
osservò incuriosita “ah si?” Il ragazzo annuì, voltandosi verso i soldati,
dando loro ordine di portare quelle persone al palazzo il più in fretta
possibile. Questi si inchinarono di nuovo, e si affrettarono ad eseguire gli
ordini. Caricarono Miyuki ed il marito sullo stesso cavallo, legandoli
saldamente alla sella per impedire loro di cadere, e aspettarono un segnale da
parte del ragazzo biondo per partire.
Lui fece un
rapido gesto con la testa, e voltò il cavallo, avviandosi per primo. La voce di
Chijo lo fece voltare “aspettate!” Chijo si morse la lingua. Era la prima
volta che dava del voi ad un ragazzo della sua età. “potreste dirci almeno
chi siete?” il ragazzo ridacchiò, facendo andare su tutte le furie la ragazza
“beh? È tanto divertente?” lui ridivenne immediatamente serio “se mi
direte il vostro nome, io vi dirò il mio” Chijo tentennò qualche minuto,
indecisa, dondolandosi sulla sella, e finalmente fece segno di si con la testa,
piuttosto contrariata. Certo non aveva voglia di andare a rivelare gli affari a
quello sconosciuto, ma capiva che, se non l’avesse fatto, probabilmente
sarebbe andata incontro all’ira del Principe, e di certo non ci teneva, in
questo momento aveva già altri problemi da risolvere. “sono Cedrick Freid”
annunciò solennemente il ragazzo “Erede al trono di Freid, e voi vi trovate
sul mio territorio. Verrete condotti al mio palazzo, e lì sarà deciso cosa
fare di voi. Naturalmente, cercheremo di sistemarvi nel migliore dei modi..”
“naturalmente..”
gli fece eco il signor Kanzaki in tono incolore. Cedrick non fece caso
all’uomo, e si rivolse alla ragazza “e voi? Come vi chiamate?” lei si
inumidì le labbra “Chijo” rispose “Chijo…..?” chiese Cedrick
inarcandosi lievemente in avanti. Chijo rimase ferma e in silenzio,
apparentemente sorda alla domanda. L’altro rimase fermo per un po’, ma alla
fine lasciò cadere l’argomento. Se Chijo non voleva dirgli il suo cognome,
erano affari suoi. Il ragazzo rimase immobile, con la mente altrove per un
po’, ma si riscosse, ricordandosi d’improvviso del resto della compagnia
“e voi?” chiese, rivolto ai nonni di Chijo “Miyuki e Koichi” rispose
sommessamente la donna. Lui annuì di nuovo, poi fece segno agli altri di
muoversi, e spronò il cavallo al galoppo, seguito dagli altri.
Fanelia,
un mese prima.
L’alba
spuntava, fredda e ventosa, sul Regno, i raggi cremisi del sole si perdevano per
campi verde smeraldo, tingendoli del suo caldo colore. Un aria di pace e serenità
aleggiava nell’aria fresca e tranquilla, silenziosa come i boschi dei draghi
di notte. Ma se il paesaggio era sereno e allegro, non lo erano gli animi.
Non
c’era un solo abitante di Fanelia, quel giorno, che rispecchiasse nel proprio
viso la bellezza e la serenità del luogo.
Quello,
per Fanelia, era giorno di lutto profondo.
Una
piccola processione si dirigeva lentamente verso la collina in cui si ergeva il
tempio commemorativo della famiglia Fanel, trascinando una bara di legno scuro
che recava il corpo ormai senza vita del Re di Fanelia, retto da una mezza
dozzina di contadini piangenti e a testa bassa, seguiti dalla famiglia e dagli
conoscenti più stretti.
Hitomi
camminava eretta e fredda, fissando con occhi vacui ed lucidi di lacrime il
feretro, tenendo per mano Shyntia, che avanzava a testa bassa, trascinandosi
dietro la madre, con gli occhi chiusi con forza. Eyes si voltò verso la
sorella, notandone l’espressione sofferente, e si chinò su di
lei, posandole una mano sulla spalla e scrollandosi dal viso il velo nero
che le impediva di parlare liberamente “che succede, sorella? Non stai
bene?” lei scosse la testa, tenendo gli occhi chiusi.
“non
è questo…” sussurrò flebilmente, al punto che, per sentirla, Eyes dovette
inarcarsi verso la sua bocca “e allora cosa c’è?” chiese, preoccupata,
fissandola “è che…..io lo sto vedendo…”
Eyes
sussultò “cosa?cosa stai vedendo? Papà?” Shyntia scosse la testa con
irritazione “no, io vedo il giorno in cui ci sono stati i funerali di Goau
Fanel, e quelli di Varie…e di Folken…e sento la sofferenza di tutti quelli
che sono stati presenti…” aprì gli occhi di scatto, sentendosi quasi
vacillare vedendo sotto di sé la terra che si muoveva, e alzò gli occhi
spalancati verso la sorella “io vedo TUTTO, ti rendo conto? Tutto,
letteralmente perfino…perfino i cadaveri…tutto” gli occhi le si riempirono
di lacrime, mentre la parola le rimbombava nella mente insistentemente, insieme
a tutte quelle immagini di funerali, di cadaveri, si sofferenza, di morte...era
tutta la mattina che lo vedeva, e quelle immagini tornavano a tormentarla ogni
volta che anche una sola, singola cosa che accadeva nel presente, era simile a
un avvenimento accaduto in passato.
Le
bastava anche solo sbirciare la bara, che immediatamente l’immagine della bara
di Goau Fanel le appariva nella mente, un solo sguardo a sua madre che seguiva
con occhi lucidi i funerali, e a lei si sovrapponeva l’immagine di Varie
Fanel….tutto, dal paesaggio, a sua madre, alla bara, la gente, perfino sua
sorella, tutto le provocava continue visioni, che la stremavano e la colpivano
con la stessa violenza di un fulmine. Non poteva evitare di avere visioni, non
sapeva assolutamente se, e come avrebbe potuto farlo, ma sentiva che non sarebbe
riuscita a reggere di questo passo, per tutta la durata della cerimonia.
Ormai,
la testa le doleva terribilmente, le gambe non la reggevano quasi più, aveva
gli occhi terribilmente pesanti, e si sentiva così stanca….ogni nuova
visione, le portava via sempre più energia. Ormai, era allo stremo.
Hitomi
le passò un mano sulla fronte calda, ritirandola immediatamente indietro come
se si fosse scottata. Si fermò su due piedi, mettendosi di fronte alla figlia,
afferrandola per le braccia, e osservando il volto pallido, gli occhi
febbricitanti, le guance infuocate, le labbra secche e violacee, sentendosi
mancare il respiro, affiancato da Eyes. Strinse forte a sé Shyntia, chiudendo
forte le palpebre, pregando ardentemente che la ragazza non si fosse ammalata
della stessa malattia del padre, sentendo la figlia farsi sempre più leggera,
sentendola quasi scivolare fra le sue braccia, come un peso morto.
“Shyntia…..” sussurrò, passandole una mano fra i morbidi capelli mielati, legati strettamente sulla nuca, ingoiando forte per non piangere di nuovo. Una donna vestita di scuro si affrettò accanto alla Regina, prendendo fra le braccia la Principessina, passandole una mano sul volto esangue, spaventata. Gli occhi blu cobalto scrutavano terrorizzati la padroncina, pieni di lacrime, i capelli rosa pastello, sciolti, le scivolavano dalle spalle, finendo quasi sul viso della ragazzina che reggeva fra le braccia, con tanta cura da sembrare che stesse tenendo una preziosa bambola. Alzò uno sguardo speranzoso verso Hitomi, chiedendole in un sussurro soffocando che soltanto la donna udì “non sarà…” lei la zittì, posandole una mano sul braccio, pallidissima in volto. La gente attorno a loro si era bloccata di colpo, distribuendosi in semicerchio attorno al gruppetto, sussurrando fra di loro.
Shyntia
fece una smorfia, contrariata “sto bene, non preoccupatevi…” ma Hitomi e
la donna-gatto non parvero convinte, continuando a tenerla stretta per il
braccio “ho detto che sto bene, non è niente…” insistè lei, caparbia,
voltando lo sguardo dall’una all’altra con un espressione che voleva dire:
“non mi credete, forse?”
Hitomi
raccolse le pieghe delle gonne, con un sospiro, raggiungendo la figlia, seguita
dalla donna-gatto, che lanciava sguardi di apprensione alla Principessa dal
fitto velo che le copriva gli occhi e i capelli rosa.
Shyntia
si voltò bruscamente, fissando il feretro quasi con timore, sospirando di
sollievo quando si accorse che non aveva avuto visioni, stavolta. Si incamminò
a passo svelto, per tenere il passo della processione, sorridendo tristemente ai
contadini che si inchinavano nascondendo i visi rigati di lacrime al suo
passaggio, ma all’improvviso dovette bloccarsi, colpita da una fitta
improvvisa al petto. Si sentiva come se qualcuno le avesse infilzato una lama
rovente nel torace, e adesso spingesse in dentro la lama, provocandole un dolore
atroce. Alzò uno sguardo velato di lacrime al cielo, vedendo le nuvole e il
sole sorgente tremare, divenendo quasi acquosi “no, no ti prego…” sussurrò
tra le lacrime, stringendo le braccia attorno al corpo in un tentativo di auto
protezione.
Ma
niente servì ad evitarle un'altra visione. Vide di nuovo quel gruppo di
persone, piangenti e sofferenti, che seguiva una bara, e una donna, che teneva
per mano un bambino piccolo, che si guardava intorno senza ben capire cosa
stesse succedendo attorno a lui, e un ragazzo quindicenne che teneva il viso
abbassato, così che lei non poteva vederne l’espressione.
Di
nuovo sentì i sentimenti di tutta quella gente colpirla con la stessa violenza
di uno schiaffo, e si sentiva quasi soffocare, si sentiva cadere in un baratro
rovente, dove gli stessi atomi dell’aria erano caldissimi. Respirava un calore
immane, e si sentiva quasi scoppiare….riaprì gli occhi di scatto, portandosi
una mano al viso per proteggersi dalla luce del sole nascente, che le accecava
la vista. Guardandosi attorno, di accorse che la cerimonia era finita, e ormai
la gente se ne stava andando, tornando alle proprie case per vivere la loro
giornata, che sarebbe stata sicuramente, per ognuno, diversa dalle altre. Sua
madre era accanto a lei, e osservava con sguardo spento il paesaggio, con la
mente persa altrove.
Shyntia
si voltò istintivamente, puntando lo sguardo esattamente di fronte a lei, e si
accorse che lo sguardo di un uomo, ritto esattamente di fronte a loro, con le
mani dietro la schiena, le stava fissando, al riparo di una albero, con accanto
un ragazzo che sarebbe dovuto essere suo figlio.
“deve
essere un nobile…” riflettè Shyntia, osservandolo: il suo abbigliamento e
quello del ragazzo che lo accompagnava lasciavano chiaramente intendere che i
due dovevano essere agiati, un contadino o un plebeo non avrebbero mai potuto
indossare abiti così sfarzosi, e oltretutto, come Shyntia ebbe modo di notare,
non andavano in giro con carrozza e servi a seguito. L’uomo, accorgendosi
dello sguardo curioso della Principessa, le porse un sorriso affettato, che la
ragazza giudicò immediatamente irritante, e si avviò nella loro direzione,
camminando alto ed eretto come un fusto, tirando fuori una mano da dietro la
schiena, dondolandola elegantemente sul fianco, lasciando l’altra morbidamente
ripiegata dove si trovava, in una posa che rubò un sorrisino divertito a
Shyntia.
Hitomi
non si accorse di lui, troppo persa nei suoi pensieri, ma Allen Schezar aveva
corrugato la fronte, e si era avvicinato a lei con espressione tra
l’infastidito il disgustato, sussurrandole qualcosa all’orecchio. La donna
si voltò verso di lui, e annuì tacitamente, voltandosi a un cenno del
cavaliere verso il bell’uomo che si stava avvicinando.
“un
bell’uomo, no?” una voce alle sue spalle fece sobbalzare Shyntia, che si girò
di scatto: Merle stava di fronte a lei, sorridendole con gli occhi lucidi,
posandole una mano felina sulla spalla. I capelli rosa pastelli le
incorniciavano il viso, che si era mantenuta piccolo, legati in una morbida
treccia che le scendeva sulle spalle coperte dal mantello scuro, arrivandole
quasi ai fianchi. La fissava con quegli occhi color cobalto, rimasti immutati
nel corso degli anni, con un luccichio malizioso e doloroso contemporaneamente,
leggermente china su di lei. “anche se sempre un asta di legno, è molto
affascinante, vero?” Shyntia storse il naso, fissando di sottecchi l’oggetto
della loro discussione, che si era inchinato pomposamente davanti a sua madre,
ripiegando un braccio sotto il ventre, e allargando l’altro verso l’esterno
in una posa teatrale, con in viso un espressione talmente comica, che Shyntia
dovette sforzarsi non poco per non ridere “è solo un pagliaccio” sentenziò,
girandosi di scatto e portandosi una mano alla bocca per non ridere in faccia
allo sconosciuto “ma guardate come sa fare bene il baciamano!” esclamò a
voce non troppo alta Merle, con una nota divertita nella voce, osservando
costernata il “pagliaccio” che si chinava a baciare la mano della Regina con
un gesto, agli occhi delle due, terribilmente comico.
E
nessuna delle due riuscì a trattenere una risatina semi-soffocata notando
l’espressione tra il divertito, il disgustato e il sorpreso di Hitomi, che
teneva strette le labbra per evitarsi di sorridere. L’uomo notò la risatina
di Merle e di Shyntia, e si voltò verso di loro, offeso: “come mai ridete,
madamigelle? Cosa va aprire in un sorriso le vostre bocche di rosa?” la
gattina e la ragazza si portarono una mano alla bocca, chinando a terra la
testa, colpite da un nuovo attacco di risa che riuscivano a stento a dominare,
le spalle che tremavano e gli occhi lacrimanti per lo sforzo “se vi abbiamo
offeso” cominciò Shyntia con un inchino, trattenendo il respiro per impedirsi
di ridere “ce ne dispiace davvero molto, signore…?” e la ragazza gli
sorrise dolcemente, inarcando un sopracciglio biondo e protendendosi in avanti.
L’altro si inchinò nuovamente, ricambiando il sorriso “sono il sovrano di
un Regno che spero sarà sempre alleato alla splendida terra che ha avuto la
fortuna di ospitare una fanciulla tanto leggiadra, milady” Shyntia mollò di
nascosto un calcio a Merle, che si era di nuovo coperta la bocca con la mano, e
rispose con tono affettato: “e potrei sapere, di grazia, quale sarebbe questo
vostro Regno che sperate essere sempre nostro alleato?”
“Aretia, mia dea, e quel giovane sotto l’albero, che non ha avuto il coraggio di venire al vostro grazioso cospetto e a quello della bellissima vostra regina, milady, è mio figlio Mikel” L’uomo sorrise nuovamente, facendo segno al figlio di venire avanti con un gesto elegante della mano.
“il
solito pallone gonfiato….peccato che abbia i capelli castani, gli occhi
neri…se avesse avuto lunghi riccioli biondi e occhi azzurri sarebbe stato un
perfetto principe azzurro da camera…l’unico punto a suo favore sono i
baffi!” e posò lo sguardo sui curatissimi baffetti castani del Re, che egli
metteva in mostra con continui e irritanti sorrisini ipocriti.
“piacere
di conoscervi, signorina…” il ragazzo si inchinò profondamente di fronte ad
Eyes, che era rimasta in disparte, osservando contrariata le sdolcinate
attenzioni del Re di Aretina per la sorella minore, baciandole la mano più con
passione che con l’eleganza affettata del padre. Proprio questi, prendendo una
mano della Principessina di Fanelia fra le sue, e posandovi sopra un languido e
leggero bacio, chiese sommessamente, fissandole con occhi che sembravano volerla
trapassare da parte a parte: “posso sapere quale meraviglioso nome il Fato ha
destinato a una simile fata?” Shyntia storse il naso, fissando di sottecchi la
madre che osservava trattenendo a stento il volume dei sogghigni, coprendosi a
bocca con la mano, e asciugandosi di tanto in tanto le lacrime che le scendevano
dagli occhi. “Shyntia…” rispose la ragazza, tentando con dolcezza di
liberare la propria mano dalla morsa dell’uomo, e riuscendoci a fatica,
sbirciando velocemente dietro di sé, vide la sorella in una situazione simile:
il Principe Mikel le teneva la mano, la bocca posata a pochi centimetri di
distanza, senza lasciar intendere di volerla lasciare, mentre la ragazza tentava
disperatamente di liberarsene e di correre via.
“Shyntia
Fanel…Principessa di Fanelia” concluse costringendosi a porgere nuovamente
attenzione al Re, che sorrise per l’ennesima volta, facendole venire una
voglia insostenibile di far levitare uno dei vasi che erano posati a terra e di
farlo cadere su quel ghigno insopportabile che l’uomo continuava
insistentemente a mostrare “chissà, magari una ruota infossata gliela
regalo…non credo che con la sua incredibile intelligenza potrebbe arrivare
alla causa…” pensò divertita, guardando il Re raddrizzarsi, dopo quello che
a lei era sembrato un tempo interminabile, e rivolgersi a sua madre, che si
affrettò a raddrizzarsi e a rivolgergli lo sguardo più interessato che le
riuscì di assumere “vostra figlia diventerà una delle fanciulle più belle
dell’intero piante, maestà, abbiatene cura, e abbiate cura di ricordavi di me
medesimo, vostro umile servo, disposto alla vita per qualunque vostro
desiderio” si portò una mano di Hitomi alle labbra, e vi posò un bacio
appena accennato “domandate, e io farò il possibile per darvi tutto ciò che
desiderate…e la cosa, naturalmente, vale anche per voi, lady Shyntia” si
inchinò ad entrambe, richiamò con un cenno il figlio, che si accomiatò
riluttante da una sollevata Eyes, e si avviò con lo stesso passo regale di
prima verso la propria carrozza, mandando un saluto militare dalla finestrino
quando la vettura sparì all’orizzonte.
Fanelia,
un mese dopo
“qualcosa
non va?” Mercha si girò su di un fianco, passando un braccio attorno alla
vita di Eyes, posando il capo sul suo, voltato verso la finestra dalla quale si
ammirava una splendida alba cremisi, un espressione pensosa nei profondi occhi
neri.
“no…”
sussurrò, continuando a restare distesa, senza voltarsi “stavo solo
pensando…” Mercha la strinse ancora di più a sé “a cosa? A tuo padre?”
lei scosse la testa “no… alla famiglia di mia madre sulla Luna
dell’Illusione…oggi Shy a pranzo, ha sollevato di nuovo la questione
“famiglia della mamma”…pensavo a loro, a cosa potrebbe essere
successo..magari mio zio si è sposato e ha avuto dei figli…chissà? Mi sono
resa conto che non conosco le famiglie di nessuno dei miei genitori…”
“è
logico” rispose Mercha scostandole i capelli dalla nuca “ma io non conosco
la famiglia di mia madre!” si lamentò lei, interrompendolo: sapeva già cosa
le avrebbe detto.
Lui
alzò le spalle, senza risponderle, e lei lasciò cadere l’argomento, fissando
di nuovo l’alba che adesso si tingeva di un colore sempre più acceso…un
brivido…la fece sussultare lievemente. Aveva una stranissima sensazione. Era
come se sapesse che un parte remotissima di lei fosse là fuori, da qualche
parte, e avesse bisogno di aiuto, perché non sapeva cosa fare…ma non vide
niente. Anche lei, come Shyntia, poteva avere delle visioni, anche se le
capitava molto più raramente, ma stavolta non vide niente: sentì solo una
strana sensazione di completezza, si sentiva completata, come se fosse
all’improvviso arrivato un pezzo del puzzle che era la sua vita, che
l’avrebbe resa immensamente felice…
“chissà
cosa sta succedendo…”
Shyntia
fissò l’alba tingere di rosso intenso le valli smeraldine di Fanelia,
pensierosa. Pensava la stessa cosa che in quel preciso istante pensava Eyes: la
famiglia della madre, e anche lei come la sorella, si rese conto che non
conosceva le famiglie dei genitori, nessuno, a parte Merle.
Anche
lei sentì quel brivido, ma non vide niente ne udì alcuna voce, niente. Sentiva
solo che qualcosa che faceva parte di lei si trovava lì fuori, e chiedeva
aiuto; cosa, non lo sapeva proprio…
Chissà
perché si sentiva così…chissà…
Probabilmente la fanfic non verrà terminata da Kir@...provate a convicerla voi!