Nome o nick: Kir@
Anni: 14
Indirizzo mail: ottbass@tin.it
Titolo fanfic: "Love"
Serie a cui è ispirata: Tenku no Escaflowne
Breve riassunto: una continuazione della serie di escaflowne, che comprende anche la Cina, oltre al Giappone
La fanfic è vietata ai minori di 14 anni? SI



LOVE
by kir@


CAPITOLO-1
“Diavolo!!” gridò la ragazza, mettendosi il dito in bocca con una smorfia di dolore. “non fare la volgare, Chijo!” la rimbeccò l’altra alzando gli occhi dal lavoro a maglia che stava facendo “mi sono fatta male, che dovrei fare,gridare dalla gioia?” replicò Chijo mettendo il dito offeso sotto un rivolo d’acqua, nel tentativo di attutire il dolore “quando la finirai di comportarti da maschiaccio!” si lamentò l’altra ragazza scotendo la testa. Chijo la guardò con un espressione tra l’annoiato e l’arrabbiato, replicando “senti, Sujin,non c’è bisogno che fai tanto la signorinetta,sai?” “ma come ti permetti!” gridò Sujin alzandosi di scatto dalla sedia e facendo cadere il cestino da lavoro “su, su, basta voi due!” disse una voce dietro di loro. Le due ragazze si voltarono verso la persona che aveva parlato,una donna sulla trentina,bionda,e dagli occhi azzurri,che stava distesa sul divano con uno straccio umido sulla testa. “mi fate venire mal di testa coi vostri continui litigi!” disse, senza alzarsi né togliere lo straccio dalla testa “tu hai SEMPRE mal di testa,zia” disse Chijo con riluttanza,fasciandosi il dito con un fazzoletto “tu, Chijo,potresti anche finirla di fare il maschiaccio,e comportarti da vera signorina,mentre tu, Sujin sei un tesoro” “sei un tesoro” ripetè contemporaneamente Chijo,con un aria irritata e seccata “certo,certo,Sujin è il tesoro e io il diavolo,come al solito” e così dicendo si alzò e uscì di corsa dalla camera,dirigendosi verso la porta di entrata,desiderando solo di uscire il più presto possibile da quel luogo “dove vai,Chijo? Aspetta!!non puoi uscire da sola a quest’ora,dove credi di andare?ti ho detto di aspettare!!” gridò sua zia dalla stanza, senza tuttavia,come al solito,scomodarsi ad alzarsi per raggiungerla “torno presto,zia,non ti preoccupare!” le gridò Chijo di rimando,afferrando il cappotto e correndo fuori “aspetta,Chijo! dannazione,quella ragazza è un vero tormento!” si lamentò sua zia da dentro con un sospiro stanco “non ce la faccio proprio più con lei!” terminò,con voce stanca “lei è fatta così,zia,che vuoi farci…” sospirò Sujin riprendendo il suo lavoro di cucito “così è,e così ce la teniamo” disse,con tono di rassegnazione. Chijo aveva sentito ogni parola,ma d’altronde,era abituata a sentirsi dire certe infamie, le sentiva da tutta una vita,oramai. Chiuse la porta con un tonfo secco,deciso,senza voltarsi indietro,e cominciò a correre,senza sapere dove stesse andando. Ma,dopotutto,non le importava un accidente di dove andava. Le importava di allontanarsi il più possibile da casa sua,anzi da quella che lei chiamava “casa”,più che altro per abitudine. Honkong risplendeva meravigliosa,con le sue luci e la sua vitalità,la gente che correva e il brusio delle loro voci che si perdeva,tra il rombo delle auto,le voci che provenivano dalle televisioni in vendita nei negozi,che venivano lasciate accese,ogni tanto,si sentiva una sirena,della polizia o dei vigili del fuoco,ma,del resto,in una città come quella era più che normale…. Chijo girò d’istinto l’angolo che portava alla sua scuola,senza nemmeno accorgersene,e si trovò di fronte all’edificio che soltanto poche ore prima aveva lasciato,dopo ore di lezioni. Guardò la scuola,con il suo intonaco scuro,ricoperto da una coltrina di polvere e da scritte a bomboletta,sospirando. Tante volte aveva voluto scappare via,lontano da quella città che pure amava,ma che le era odiosa per quella casa fredda e senza amore dove sapeva di dover tornare,da ormai,quanti anni?tre? dovevano essere tre,visto che Chijo aveva quattordici anni,ed era rimasta orfana di genitori a undici. Quei tre anni le erano sembrati terribilmente lunghi,e terribilmente freddi. Sua zia,la sorella di sua madre,aveva sempre preferito Sujin a Chijo. Sujin aveva diciassette anni,ed era quanto di più docile ci fosse su questo mondo. Era sempre pronta a farsi mettere i piedi in testa da tutti,non sapeva farsi valere e ubbidiva ciecamente a tutto quello che sua zia le diceva di fare “quella lì sarebbe capace anche di mettersi a scodinzolare,se glielo chiedesse la zia” pensò amaramente Chijo,camminando senza una meta precisa per le strade di Hongkong. Sua zia non era cinese,e nemmeno lei e sua cugina Sujin lo erano, ma sua zia viveva lì da anni e quando i genitori di Chijo erano morti,lei aveva dovuto trasferirsi in Cina, lasciando tutti i suoi amici. Di questo,a dire la verità, Chijo non si era dispiaciuta granchè,lì nel suo paese d’origine, in una città vicino Tokyo,aveva molti amici, con i quali riusciva ancora a tenersi in contatto,ma erano amici subdoli,falsi,non amici veri. Questo perché tutti la guardavano con disapprovazione per sua zia…non quella con cui abitava,ma sua zia paterna…non voleva nemmeno pensarci. All’inizio,avrebbe dovuto andare a vivere dai nonni,ma a causa delle chiacchiere dei vicini,si era preferito mandala lì in Cina,anche se riusciva comunque a tenersi in contatto con i nonni,qualche volta. Suo padre e sua madre erano morti in un incidente stradale,ma suo padre,e Chijo lo ricordava bene,le aveva fatto promettere che mai,mai e poi mai,avrebbe dovuto credere alle voci che giravano su sua sorella. E Chijo aveva mantenuto la promessa. Suo padre aveva voluto bene a sua sorella,e aveva sofferto quando il padre l’aveva cacciata di casa perché lei era scappata per sposare il ragazzo che amava. Tra l’altro,l’identità del ragazzo era sconosciuta. Nessuno lo sapeva,nemmeno il padre di Chijo. Ma la gente mormora,mormora e sospetta,e anche i compagni di Chijo l’avevano giudicata male,nipote di una ragazza che era stata cacciata di casa perché se ne era andata con un ragazzo. Così,lì,in Cina,aveva altri amici,veri stavolta:Pao Shun-Sang era un suo compagno di scuola e,insieme a Lin Shu era il suo migliore amico. Non c’era luogo in cui Chijo andasse senza che fosse insieme ai suoi amici,loro non l’avevano giudicata per sua zia,l’avevano giudicata per quello che era,a loro Chijo raccontava delle cose che suo padre le diceva della zia che non aveva mai conosciuto, era a loro che Chijo raccontava quanto si sentiva sola e incompresa a casa di sua zia e di Sujin. Perché Chijo diceva che quella era solo casa loro,non casa sua. Sujin e Chijo era diversissime: mentre Sujin era debole e non sapeva farsi valere,sottostando ai voleri di chiunque sapesse metterla in soggezione, Chijo era testarda,coraggiosa e non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Inoltre,aveva l’abitudine di fare tutto d’istinto,senza stare troppo a pensare,e non aveva peli sulla lingua. Questo dava fastidio a molte persone,sua zia compresa. Nonostante questo,Chijo sapeva quando era il momento di stare zitta,e quando non lo era,e possedeva abbastanza buonsenso da riuscire a cavarsi fuori dai guai senza troppe ammaccature. Chijo si riscosse all’improvviso da quei pensieri, accorgendosi finalmente che qualcuno la stava chiamando,o meglio,la stava chiamando per cognome “Maisawa!ehi,Maisawa!” Chijo si girò di scatto,riportata bruscamente alla realtà, gli occhi verdi fissi sul nuovo arrivato,scostandosi una ciocca di capelli biondi che le era finita sul viso “che vuoi,Wu?” gridò al ragazzo dai capelli rossi che si avvicinava a lei velocemente,un ghigno diabolico negli occhi azzurro ghiaccio fissi su di lei “niente, Maisawa, mi chiedevo solo che diavolo ci faceva qui una ragazzina come te a quest’ora” le disse ironico Wu, scrutandola con quegli occhi di ghiaccio visibilmente divertito “non sono affari tuoi,e ora, sparisci,se non ti dispiace,non sta bene che un bravo ragazzo come te si intrattenga con una compagna di scuola quando è in compagnia di due ragazze” e Chijo si inchinò in segno di saluto verso le due ragazze che stavano accanto a Wu,due cosette pallide e minute,more e con lineamenti delicati,che stridevano incredibilmente con la figura alta e bionda di Chijo. Wu,invece,con i suoi capelli rosso fiamma non sarebbe nemmeno sembrato cinese,ma in realtà,era un cinese solo per metà, un eurasiatico. Sua madre era olandese, dell’ Aja, precisamente. Era arrivata in Cina in vacanza,poi aveva incontrato il padre di Wu (il cui nome però, era Chien,perché soltanto Chijo chiamava il ragazzo per cognome) e si erano innamorati. Wu così aveva ereditato i capelli rossi e gli occhi della madre e la carnagione del padre. Aveva un sorriso che avrebbe potuto incantare qualsiasi ragazza,ma poteva anche essere terribilmente irritante. Era molto popolare fra le ragazze, che non facevano altro che sbavargli attorno,colpite da quel sorrisino che tanti irritava Chijo,visto che a lei veniva rivolto sempre in senso ironico. E con quello stesso sorriso lui le rispose quella sera,allargando le braccia in una posa teatrale “mi scusi tanto signorina,non intendevo offenderla,ma lei potrebbe anche essere più gentile,non crede?” e le rivolse un ennesimo sguardo ironico “vai all’inferno, Wu,non ho tempo per le tue stupidaggini” replicò stizzita Chijo,allontanandosi velocemente,irritata come non mai “ehi, Maisawa, non ti sarai offesa,vero?” le chiese Wu con un ennesimo sorrisino “senti,Wu,perché non te ne vai a quel paese?magari ci lasci in pace!” rispose Chijo puntando i suoi occhi verdi su Wu “ma come siamo permalose!devo forse ricordarti che non sono io quello la cui zia paterna è stata cacciata di casa?” le pupille di Chijo si dilatarono,mentre veniva tentata di strozzare il ragazzo che aveva di fronte “non osare offendere mia zia!” gridò,la voce alterata dalla rabbia “oh!mi scusi,signorina,non volevo ricordarle che sua zia è stata cacciata di casa a sedici anni perché è scappata chissà con chi per sposarsi!” Chijo stava per saltargli addosso,tanta era la sua rabbia,e si trattenne per puro miracolo “come ti permetti!?” sibilò,gli occhi ridotti a due fessure maligne “quello che ha fatto mi zia non ti riguarda,chiaro?”
“no,hai ragione Maisawa,non mi riguarda,ma volevo comunque dirti che è molto strano..evidentemente tua zia doveva essere soltanto una sgualdrinella da quattro soldi,se si è sposata a sedici anni,chissà,magari ci ha guadagnato qualcosa..” non potè continuare,perché Chijo gli aveva mollato un pugno alla mascella,talmente forte da averlo scaraventato per terra,e avergli rotto il labbro. Il sangue usciva a fiotti dalla bocca di Wu, mentre lui cercava di frenarlo mettendosi una mano sul labbro colpito,uardando con occhi spettrali Chijo,una scintilla omicida negli occhi ghiacciati. “e questo è niente,Wu” gli sussurrò malignamente Chijo,con uno sguardo poco consolante “se ti permetti di offendere ancora mia zia, queste saranno solo carezze,chiaro?” Wu sorrise di nuovo,facendo salire alle stelle l’irritazione di Chijo,già fin troppo provata “niente cambierà il fatto che tua zia era una maledetta puttana, Maisawa, niente!” Chijo strinse forte i pugni,la collera che saliva veloce come un fiotto istinto omicida al cervello,gli occhi che sprizzavano fiamme. Prese per il colletto Wu,alzandolo di poco dal terreno,quasi strozzandolo con la forza che il furore le dava “apri le orecchie, brutto idiota,se ti permetti di dire anche una sola parola in più ad offesa di mia zia,io ti spacco la faccia,hai capito?e tu lo sai che io sono capacissima di farlo,vero?” e strattonò rudemente Wu,al punto da fargli battere i denti,girare la testa,e fargli mancare il respiro “ti conviene non fare scherzi,Wu,perché la prossima volta non sarò tanto dolce!” e così dicendo scaraventò a terra il ragazzo,con una tale forza che gli slogò il polso,e si allontanò,senza degnare di uno sguardo le due ragazze che avevano assistito alla scena immobili e ammutolite dallo stupore. Chijo camminò furiosamente,senza nemmeno essere tanto convinta di dove stava andando,la rabbia che le annebbiava la vista,grosse lacrime che minacciavano di cadere,nonostante lei le ricacciasse furiosamente indietro. Ma quelle caddero lo stesso,portando un po’ di frescura alle sue guance infuocate,sciogliendo la sofferenza e il dolore che tutti quegli insulti provocavano in lei da tutta una vita. La vergogna di essere additata per quello che sua zia aveva fatto,la vergogna di essere trattata come un essere senza alcun valore da sua zia e dalla cugina,considerata solo un peso inutile. Per cosa,poi?per quello che aveva fatto sua zia?e lei che cosa c’entrava in tutto quello? Lei che cosa aveva fatto? In tutti quegli anni,non aveva mai odiato sua zia,non l’aveva mai biasimata per quello che aveva fatto,ma adesso..quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso….era stufa! Se sua zia non fosse scappata,costringendo suo padre a cacciarla di casa,lei non avrebbe dovuto sopportare tutta quella vergogna. Per sua zia era stato facile,era andata via,dove nessuno la conosceva,non aveva dovuto sopportare le conseguenze del suo gesto,loro invece si,lei,i suoi nonni,suo padre….non era giusto! “ora basta,non devo più pensare a queste cose! Smettila!” diceva a se stessa Chijo, piangendo sommessamente,seduta su una panchina,con il corpo scosso dai singhiozzi. “anche la zia ha pagato,è stata cacciata di casa!” si disse,cercando di scacciare per l’ennesima volta dalla morte di suo padre quel senso di odio profondo verso sua zia. Si asciugò le lacrime,e alzò il viso,accorgendosi che era già scuro. Che ore erano? Guardò l’orologio: erano quasi le nove. Sicuramente,sua zia stava cenando a quell’ora,sicura come l’oro che lei sarebbe ritornata all’ora di cena,quando avrebbe avuto fame. E, in effetti,aveva fame. Sospirando,si alzò,dirigendosi vero la strada di casa,rassegnata all’ennesima lavata di capo i sua zia,passandosi le mani sugli occhi per togliere anche le ultime tracce di lacrime che avrebbero potuto incriminarla. Non voleva che la vedessero piangere,non se lo saprebbe mai perdonato.....

“Ma madre! L’avete tenuto nascosto troppo tempo,adesso è ora di parlare,no?non potete tenerlo nascosto per sempre,sopratutto ora che mio padre non c’è più” la voce della ragazza tremò,mentre pronunciava queste parole,visibilmente scossa dagli eventi degli ultimi tempi. Si morse il labbro,cacciando indietro la lacrima che voleva testardamente uscire,e continuò: “madre,se voi gli parlaste,forse potreste riappacificarvi..sono anni che non vi parlate,vi farà bene..” “no,figlia mia,io…non ce la faccio,non ora almeno..” disse piano la madre,non riuscendo a trattenere le lacrime “ma se voi provaste,allora..” “non farmi soffrire ancora per un rifiuto,Eyes,non ce la farei a sopportarlo,ora..” e la donna si passò nervosamente una mano sugli occhi brucianti,scoppiando di nuovo in singhiozzi “allora avete paura solo di un rifiuto,madre?voi dovete avere coraggio,o loro non sapranno mai la verità! Vi giudicheranno sempre male,a voi questo non importa?io sono certa che se voi spiegaste loro quello che è successo,loro capirebbero…” “no,figlia,mia,ti prego,non ora!” rispose la madre soffocando i singhiozzi“se loro….se loro dovessero rifiutarmi,dovessero respingermi…..se non dovessero capire…..io…io…NE MORIREI!” e scoppiò di nuovo a piangere,nascondendo la testa nel morbido cuscino di piume,affondando le dita nelle preziose coperte di lino rosa pastello,le spalle scosse furiosamente dai singhiozzi. Eyes non volle insistere oltre,per paura di far soffrire sua madre ancora di più di quanto non stesse no soffrisse in quel momento,e sospirando,si alzò,posò un tenue bacio sulla fronte della madre,e si avviò verso la porta,le scarpette di raso che battevano aritmicamente con piccolo suoni ovattati sul pavimento ricoperto di tappeti. Posò la mano sulla maniglia intarsiata,fermandosi di colpo,e si girò d’improvviso verso sua madre,ancora distesa sul letto,i capelli biondo scuro sparsi sul cuscino in una piccola corolla dorata,e le chiese,con la voce leggermente alterata: “volete che faccia entrare Shyntia,madre?” la donna si alzò lievemente sui cuscini,guardando dalla parte della figlia,fissando i suoi occhi verdi in quelli neri di Eyes “si,ti ringrazio,Eyes” disse,con una luce nuova negli occhi di giada “bene” disse semplicemente Eyes,uscendo dalla stanza,la voce ridotta a una nota stridula. Si avviò velocemente verso la camera di sua sorella minore,attraversando i corridoi ricoperti di tappeti e arazzi,con una luce nuova negli occhi scuri solitamente dolci “solo lei,sempre solo lei!” pensò, mentre bussava furiosamente alla porta della camera di Shyntia “la mamma ha sempre preferito lei a me, sin da quando è nata, e anche mio padre ha sempre voluto più bene a lei che a me! Io sono la figlia maggiore, io sono quella che si interessa degli affari del Regno per poter essere una buona Regina,io faccio di tutto per avere l’approvazione dei miei genitori,per fare una buona impressione,ma è sempre Shyntia la sua preferita!” una vocina da ragazzina le arrivò alle orecchie,dolce e ovattata dalla pesante porta di legno di pino. Cantava una canzone che la loro madre aveva insegnato loro da piccole. Le parole atlantidee le salirono d’istinto alle labbra,e la bocca si aprì in un sorriso,dimenticando il furore e la gelosia di poco prima. Quanti ricordi! Eyes riscosse dai suoi pensieri,e bussò di nuovo,con negli occhi la stessa espressione di prima. La voce smise di cantare,e,con un lieve fruscio di mussola,si avvicinò alla porta. Una piccola colonna di luce si formò,quando la porta si aprì,e un visino infantile apparve sulla soglia,i capelli biondi che mandavano riflessi dorati,illuminati dalla tenue luce delle lune. Eyes scrutò il viso della sorella,incorniciati dai capelli biondi,dello stesso colore di quelli di sua madre,fissandola negli stessi occhi della Regina madre,con un espressione fredda e calcolatrice “nostra madre desidera vederti” disse con voce neutra,che strideva decisamente con l’espressione furente degli occhi scuri “ora” sottolineò fissando Shyntia,avvalendosi dell’essere di tutta un testa più alta di lei,e ancora una volta si chiese che cosa ci trovavano i suoi genitori in Shyntia che lei non avesse. Eyes aveva appena compiuto diciott’anni,nonostante non si fosse ancora sposata,mentre Shyntia ne aveva solo tredici,che aveva lei che alla sorella maggiore mancava? Lasciò da parte questi pensieri,mentre la sorellina chiudeva la porta alle sue spalle e la seguiva docilmente,chiedendole,con un espressione preoccupata nelle iridi di giada “come sta la mamma?” “la mamma” pensò ironicamente Eyes…Shyntia chiamava la Regina “mamma”,mente lei l’aveva sempre chiamata “madre”,dandole del voi,in un atteggiamento formale…Shytia,invece,aveva sempre dato del tu ai suoi genitori,comportandosi con loro in maniera del tutto informale…forse era questo che a Eyes mancava….scosse la testa,eliminando quella possibilità,e rispose a sua sorella,che stava già per ripetere la domanda,pensando che la sorella maggiore non avesse sentito “sta bene,è solo molto stanca..” e si girò a fissarla severamente con gli occhi d’ebano “no farla affaticare,ci siamo capite?” (N.d.r.Autrice:scusate l’interruzione,questa si comporta come faccio io con mia sister quando mia madre è nervosa……con l’unica differenza che fosse una volta che mi sta a sentire…..macchè….parlo al muro) e fissò Shyntia con un espressione talmente severa,che la ragazzina si affrettò ad assicurarle che sarebbe stato buona come aveva detto lei: Arrivarono alla camera da letto della Regina,sorvegliata costantemente,soprattutto in quel periodo,da due guardie,poste ai lati della porte,che avevano il compito di controllare tutte le persone che entravano e uscivano dalla stanza. Non appena videro arrivare le due Principesse,si affrettarono a spostarsi per lasciarle passare,prostrandosi in un piccolo inchino deferente. Eyes bussò elegantemente alla porta,e poi l’aprì di poco,annunciando,con voce incolore che Shyntia era arrivata. La ragazzina entrò nella stanza,dove sua madre stava seduta sul letto a baldacchino,con la bocca aperta in un meraviglioso sorriso,stendendo le braccia verso la figlia minore “vieni qui,tesoro mio” e Shyntia si sedette sulle gambe della madre,appoggiando la testa sulla spalla della donna,con un espressione serena sul giovane viso. Eyes si scusò bruscamente,ed uscì dalla stanza,quasi nauseata dalla scena a cui aveva assistito,correndo velocemente verso i giardini,il lungo vestito che le fluttuava attorno al corpo e i capelli legati in una treccia che le volteggiavano alle spalle, piccole ciocche ribelli che volavano sul viso. Una voce giovanile, calda e squillante interruppe i suoi pensieri, facendola fermare bruscamente. Guardandosi attorno, si accorse di essere finita nell’hangar principale, dove stavano riuniti tutti i generali e i comandanti di Fanelia, a bere e chiacchierare. Eyes poteva sentire le loro voci e le loro risate,il tintinnare delle coppe che si scontravano,le spade che stridevano l’una con l’altra mentre i vari ufficiali si scontravano in amichevoli duelli. La risata argentina di uno di loro,un ragazzo alto,muscoloso,robusto,con una gran massa di capelli castano scuro,occhi azzurri, grandi mani callose e voce calda e sonora, che non dimostrava di avere più di vent’anni, le provocò un groppo alla gola. “Yuia…”mormorò, sentendo il cuore fare un tuffo. Puntò lo sguardo verso gli ufficiali, che continuavano a discutere animatamente “evidentemente non sanno ancora che il Re è morto….” E la conferma venne quando uno dei generali disse, con il volto che lasciava chiaramente presentire l’assoluta certezza che aveva nelle sue parole “speriamo proprio che il nostro beneamato Re sopravviva,vero colleghi?” dal gruppetto di alzarono espressioni affermative e grida di consenso,compreso il generale Yuia,nei cui occhi brillava una luce di speranza che non aveva nulla a che vedere con le motivazioni che potevano avere gli altri circa la sopravvivenza del Re. Eyes sentì un groppo alla gola,notando che uno dei servitori presenti al capezzale di suo padre,si stava avvicinando al gruppo,il capo chino. Gli ufficiali zittirono immediatamente,e un silenzio profondo calò nell’hangar quando il servo,con la voce che tremava e quasi sul punto di scoppiare a piangere,annunciò “il Re è morto”. Il silenzio continuò a regnare ancora più pesante di prima,mentre ogni ufficiale si lasciava cadere pesantemente sulla propria sedia,scossi da un fremito d’angoscia. Yuia rimase immobile come una statua,gli occhi sbarrati,un nodo che gli stringeva la gola,il cuore che gli batteva tumultuosamente nel forte petto. Solo allora si accorse della presenza di Eyes,ferma e immobile a pochi metri da loro. I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre le iridi di ghiaccio del ragazzo incontravano quelle d’ebano della Principessa,quasi come volessero parlare con lo sguardo,con un linguaggio noto solo a loro. Yuia si alzò lentamente mentre gli altri ufficiali continuavano a restare muti,senza avere nemmeno la forza di muoversi. Con passi lenti,come camminando in un sogno, si avvicinò a lei,prendendole le mani fra le sue. “mi dispiace” sussurrò con un fil di voce “per lui o……o per noi?” chiese Eyes,fissandolo con gli occhi pieni di lacrime “per entrambi” “in questo caso” disse lei distogliendo lo sguardo “non dovremo più vederci,mai più,generale Yuia” e così dicendo,liberò le mani dalla stretta del ragazzo,e si allontanò a passi lenti,ma decisi. “aspetta!” e Yuia la afferrò per un braccio,costringendola a girarsi “no,generale,è meglio così…..non c’è futuro per un generale e una Principessa Reale” ma Yuia non la stava ascoltando. Le prese la testa fra le mani,fissandola tanto intensamente che sembrava volesse attraversarla con lo sguardo “non devi nemmeno dirlo” “Yuia..mio padre è morto,sicuramente mia madre vorrà che io mi sposi..” “non lo permetterò” “tu sei un generale,Yuia,non puoi mancare ai tuoi doveri” “il mio dovere” replicò lui,fissandola con i suoi occhi di ghiaccio,talmente deciso che nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea “il mio dovere” ripetè “è quello di proteggere la mia Principessa” i suoi occhi si addolcirono,tanto che Eyes si sentì sciogliere come neve al sole “e di amarla” i suoi occhi si restrinsero a due piccole fessure di ghiaccio,mentre Eyes tentava inutilmente di accampare scuse “no,Yuia,noi….non è giusto” sussurrò senza troppa convinzione,girandosi per andarsene. Ma lui non lasciò andare. La attirò a sé,e fuse le sue labbra con quelle di lei,cingendole il corpo con le braccia muscolose,con una tenerezza innata. Eyes dapprima si divincolò,tentando di non lasciarsi vincere dall’incanto,ma poi….non ce la fece più…lei sapeva che non avrebbe mai sposato nessuno,nessuno che non fosse il generale Yuia,e sua madre poteva dire quel che voleva. Rimasero abbracciati,mentre le labbra si incontravano,seminascosti dai melef e guymelef posti nell’hangar,incuranti degli altri ufficiali che continuavano ad andare e venire nell’hangar. Poi Yuia si staccò da lei,e lentamente,sciogliendosi dall’abbraccio della ragazza,si allontanò,guardandola con quel suo sguardo dolcissimo,e sussurrandole,prima di unirsi di nuovo agli ufficiali “arrivederci,mia Principessa” e,con un elegante inchino,si girò,unendosi ai colleghi che uscivano dall’hangar.

Chijo entrò in casa, colpita dallo strano silenzio, avanzando piano nell’ingresso, dirigendosi verso la cucina, dove molto probabilmente sua zia e Sujin stavano cenando. E in effetti, le trovò lì quando entrò, sedute ai loro posti a consumare silenziosamente il pasto, cosa molto strana, visto che di solito madre e figlia chiacchieravano continuamente durante un pasto.
“Oh, eccoti” le disse sua zia quando Chijo scivolò silenziosamente al suo posto, gli occhi azzurri della cugina fissi di lei, incorniciati dai capelli biondi “lo sapevo che saresti tornata quando avresti avuto fame, dopotutto” e scosse la testa con un gesto di finta rassegnazione “se anche tua zia paterna avesse fatto così, avrebbe evitato di essere cacciata di casa” e qui scosse nuovamente la testa. Chijo si morse il labbro inferiore ,morendo dalla voglia di mollare un calcio alla zia, ma trattenendosi dal farlo sapendo cosa sarebbe successo se l’avesse fatto. Durante i primi tempi passati insieme a sua zia e a Sujin, aveva avuto il coraggio, qualche rara volta,di farlo, ma ben presto anche quei rari momenti di ribellione erano scomparsi: Chijo si limitava a qualche frase ad effetto, sapendo che se avesse dovuto mollare un calcio o un ceffone a qualcun della famiglia, avrebbe dovuto fare i conti con suo zio, che non era certo clemente. Troppe volte aveva assaggiato le botte per permettersi di ripetere l’errore. E Chijo lo speva fin troppo bene. Lei e sua cugina, anche se diverse caratterialmente (ma questo era giustificato dal fatto che Sujin aveva dei genitori a dir poco soffocanti quanto a educazione), erano simili fisicamente. Gli stessi capelli biondi, lo stesso sguardo penetrante, la stessa carnagione. Ma la somiglianza finiva lì: Chijo aveva gli occhi verdi di suo padre e della sorella di lui, come suo padre le aveva raccontato, un viso a cuore e lineamenti decisi, al contrario della cugina. Comunque, la maggior parte dei ragazzi apprezzava molto sia l’una sia l’altra, anche se, quasi sempre,i ragazzi si allontanavano intimiditi davanti al carattere un tantino violento di Chijo, anche se non per tutti era così. La voce di sua zia la riscosse dai suoi pensieri.
“Avremo ospiti molto graditi domani, sai?” Chijo alzò gi occhi dal piatto, guardando con espressione interrogativa sua zia.
“E chi?” chiese.
“I tuoi nonni”.




CAPITOLO-2
Hitomi accarezzò dolcemente i capelli biondo scuro della figlia, sorridendo teneramente,gli occhi di giada che risplendevano d’affetto. Shyntia alzò lo sguardo verso sua madre, scostando la testa dalla sua spalla, fissandola con uno sguardo a metà fra il preoccupato e il nervoso “non vuoi proprio dire niente, mamma?” chiese, la vocetta sottile a stento udibile nella stanza silenziosa. Hitomi sorrise tristemente, guardando la figlia senza realmente vederla, gli occhi vacui persi nel vuoto, seri e pensierosi “no, Shy, non credo di farcela, per il momento”sussurrò “ma mamma, non puoi tenerti il segreto fino a quando morirai! Loro hanno il diritto di sapere! E io ho il diritto di conoscerli” replicò Shyntia, scattando in piedi di fronte alla donna e fissando la madre con una luce di sfida negli occhi, ma lei scosse tristemente la testa “non posso farci niente, Shy, ora non ce la faccio..”

“Ora?” chiese la ragazzina incrociando le braccia al petto con uno sguardo severo. A vederla, ora, non sembrava affatto una ragazzina della sua età, nei suoi occhi si leggeva decisione e testardaggine non comune per una ragazzina di tredici anni “è proprio come suo padre” pensò Hitomi sorridendole malinconicamente “testarda come un mulo”. Shyntia la fissò con aria interrogativa,c ome se aspettasse una risposta, un sopracciglio biondo lievemente inarcato “un giorno lo farò” rispose semplicemente la Regina. Non aveva la forza, adesso, di ribattere, e tese le braccia in avanti, stringendo a sé la figlia e costringendola a sedersi sulle sue ginocchia “sei arrabbiata?” le chiese scostandole una ciocca di capelli dalla fronte, mentre Shyntia se ne stava a testa bassa, fissando pensosamente il pavimento di marmo bianco sotto i suoi piedi. Erano sedute sul letto, ora, sedute una accanto all’altra, la testa della ragazza poggiata sulla spalla della madre,l o sguardo perso nel vuoto, gli occhi verdi lucidi e vacui, assenti, entrambe perse nei loro pensieri, tanto che Shyntia non rispose alla madre, non l’aveva nemmeno sentita, e Hitomi non aspettò neppure la risposta, sprofondando nei suoi pensieri. Un silenzio profondo calò nella stanza, interrotto solo dal lieve frusciare dei rami degli alberi del giardino, mossi dal vento gelido della sera. Si era appena all’inizio dell’ autunno, eppure il freddo cominciava già a farsi sentire pungente, e le piogge erano sempre più frequenti e prolungate, rinfrescando ancora di più l’aria e ricoprendo di rugiada argentata gli alberi e l’erba, di cui vagamente si sentiva l’odore pungente anche da lì. Shyntia alzò lo sguardo verso il grande specchio che stava di fronte  a loro, proprio dirimpetto al letto, alto più di lei, con una lucente cornice d’oro finemente intagliata che risplendeva alla luce tenue delle lune nel crepuscolo. Un riflesso. Piccolo e insignificante, che attraversava la superficie liscia e argentata, un guizzo di fiamma, debole e piccolo quanto la luce di una stella. Shyntia socchiuse gli occhi. Il riflesso ricomparve, più vivido, più lucente, quasi vivo, quasi come se fosse un essere umano che nasceva dal riflesso dorato della luce della luna sulla superficie dello specchio. Un volto. Poteva vedere un volto umano, piccolo, a stento vedibile,i  contorni lievemente marcati rispetto ai particolari nebbiosi e confusi del volto. Non riusciva a vedere altro, era troppo sfocato. “Shyntia..” la voce bassa e gentile di sua madre la scosse dai suoi pensieri. L’immagine sparì, così come era apparsa, e la superficie dello specchio tornò ad essere esattamente come era prima, cancellando ogni segno del volto “Shyntia!” la voce stavolta era più decisa e alta, e una mano si era posata sulla sua spalla, scotendola leggermente. Shyntia alzò lo sguardo, riportata finalmente con la testa sulla terra, e incrociò il suo sguardo con quello preoccupato della madre “è successo qualcosa?” le chiese,senza distogliere lo sguardo. “Non l’hai visto?” chiese Shyntia, sorpresa: come era possibile che sua madre non l’avesse visto? Possibile che se ne fosse accorta soltanto lei? “cosa dovrei avere visto?” chiese la Regina fissando ancora più preoccupata la figlia “il riflesso” disse Shyntia, puntando il dito contro lo specchio, con uno sguardo sorpreso. Hitomi voltò lo sguardo verso il punto indicato dalla figlia,ma non vide altro che un enorme specchio che le rifletteva entrambe “c’era.....c’era un volto prima..un volto umano....” disse Shyntia voltando lo sguardo dallo specchio alla madre, che continuava a fissarla con espressione preoccupata ed incredula “mamma, io l’ho visto davvero!” sbottò. Sua madre non poteva certo pensare davvero che lei fosse impazzita! Lei lo aveva visto davvero, ne era più che sicura! “Ti senti bene, Shy?” le chiese la donna posandole una mano sulla fronte “sei sicura di non avere la febbre?” “mamma!!” esclamò la ragazza scostandosi di colpo, infastidita “ti dico che ho visto davvero un volto umano nello specchio!” Hitomi scosse la testa, stancamente “sarà stato sol un riflesso delle lune, Shy, non puoi aver visto veramente un viso…..forse, sei solo stanca…..e chi potrebbe biasimarti?” sussurrò, con un fil di voce, mentre una lacrima cominciava a caderle dalla guancia, finendo la sua corsa sulla coperta di seta del letto. Shyntia abbassò lo sguardo, cercando con tutte le sue forze di non piangere. Ormai, aveva speso tutte le sue lacrime, da quella mattina, ma, ogni volta che qualcosa glielo ricordava, la morte del padre le ritornava alla mente, e di nuovo piangeva....non voleva farlo, pensava di non aver più lacrime,eppure…..un lieve bussare alla porta le interruppe, facendole voltare verso la porta. Hitomi farfugliò un “avanti” asciugandosi frettolosamente le lacrime, e una donna si fece timidamente avanti, spingendo lentamente la porta di legno. Non doveva avere più di cinquant’anni, non eccessivamente alta e piuttosto robusta, il viso quasi totalmente coperto da una maschera di grasso molle e rugosa,i  piccoli e teneri occhi castano scuro apparivano ancora più piccoli fra le rughe profonde del viso, e i capelli castani striati di grigio raccolti in una pesante treccia sulle spalle, lunga fin quasi alla vita. Si fece avanti, piuttosto velocemente per il suo peso e l’età, gli occhi cerchiati, stanchi e rossi di pianti, tormentandosi le mani callose e rugose, e, dopo aver fatto una deferente inchino, disse molto educatamente, senza alzare la voce più di un sussurro roco: “Perdonatemi, Regina, devo condurre vostra figlia a letto…” chinò la testa, umilmente, aspettando una risposta per alzare lo sguardo triste e stanco sulle due, in un segno di rispetto e umiltà addirittura esagerate. La Regina sorrise, accarezzando i capelli di Shyntia, facendo cenno alla donna di alzarsi “ti ringrazio, Erzath, ma per stasera Shyntia rimarrà a dormire qui, come quando Van era ancora vivo, vero tesoro?” chiese alla figlia dolcemente, ed ella annuì “per stasera vorrei dormire qui, Erzath” comunicò alla donna. Erzath, che era stata la balia di Eyes e di Shyntia, era un brava donna che proveniva da una semplice famiglia di Fanelia, e che era stata assunta al servizio della famiglia reale quando era nata Eyes. Più che allattare le bambine, cosa che faceva quotidianamente la Regina, Erzath si occupava di loro durante la giornata, quando erano neonate facendo bene attenzione che fossero ben coperte e che dormissero, portandole dalla madre per essere allattate quando queste avevano fame, occupandosi della loro pulizia e della loro salute, e quando erano cresciute, sorvegliandole costantemente, sebbene non in modo ossessivo, controllando che frequentassero le loro lezioni quotidiane e prendendosi cura di loro quando i genitori erano assenti o impegnati. Era un ottima balia, certamente, ma era anche una donna cresciuta fra il popolo, e come tale, aveva le sue credenze e le sue superstizioni, che regolavano la sua vita in modo quasi morboso, e inoltre aveva il vizio di essere fin troppo formale e rispettosa. Sebbene desse del tu a Eyes e Shyntia, non si permetteva mai di scambiare più di una decina di parole con i sovrani e le persone più ricche e potenti di lei, con un educazione che rasentava l’esagerazione.

Nonostante tutto, era stata una balia perfetta per le bambine, e sia Hitomi che Van erano molto contenti del suo lavoro e dell’amore che aveva per le figlie.

Ogni sera, puntualmente,un paio d’ore dopo il tramonto, andava a cercare  il palazzo e il giardino le due Principesse (adesso lo faceva soltanto con Shyntia, perché ormai Eyes era abbastanza grande da poter rimanere sveglia più a lungo, e anche da piccola aveva accettato di buon grado di addormentarsi a quell’ora, mentre Shyntia vi si ribellava testardamente) e le conduceva nelle loro camere,per prepararle per la notte. Regolarmente, entrambi i sovrani, anche se avevano avuto una giornata pesante, passavano per le camere delle Principesse per augurare loro la buonanotte. Era un “rito”, ormai, che andava avanti da anni. Ma capitava anche spesso che una delle due rimanesse a dormire nella camera Reale, quindi Erzath non si stupì quando Hitomi le comunicò che Shyntia avrebbe dormito nella camera della madre. Si limitò a fare una altro profondo inchino, e ad uscire silenziosamente dalla stanza, richiudendo la porta dietro di sé. Hitomi si infilò sotto le coperte, facendo segno alla figlia di distendersi accanto a lei, e Shyntia non se lo fece ripetere due volte. Stretta fra le braccia della madre, chiuse gli occhi, mentre un torpore meraviglioso l’avvolgeva, e il sonno cominciava a farsi avanti. Le apparve per la centesima volta nella mente, in quella lunga e angosciosa giornata, l’immagine di suo padre. Le sembrava di averlo di fronte, con i suoi profondi occhi neri, i lineamenti delicati e gentili, i capelli d’ebano che si muovevano lievemente, mossi da un leggero venticello, mentre le sorrideva come solo lui sapeva fare, un sorriso che  era dedicato solo a lei. Le sembrava di sentire la sua voce calda e affettuosa, mentre le sussurrava, prima che si addormentasse “buonanotte, mia piccole Principessina” Shyntia ingoiò, nel tentativo di impedire che le lacrime le scendessero di nuovo sulle guance, ma anche stavolta non poté impedirlo, e di nuovo le scesero lungo il viso, portando sollievo alle sue gote infuocate, mentre un pensiero si faceva strada nella sua mente: “Papà....”

 

 

“Mia sorella rimarrà a dormire con mia madre?” chiese Eyes ad Erzath, con voce incolore, fissando il paesaggio notturno delle foreste di Fanelia dalla finestra della sua camera “si,Eyes” rispose la donna, fissandola con sguardo sospettoso “capisco..” mormorò la ragazza. Rimase per qualche secondo immobile, gli occhi persi nel paesaggio, poi, si scosse improvvisamente, e si scostò dalla finestra, spostando lo sguardo verso la balia “Erzath, aiutami a prepararmi per la notte, per favore” un ordine preciso,gentile, ma imperativo, come era solita fare con la servitù. Erzath annuì distrattamente, avviandosi verso l’armadio, da dove tirò fuori una lunga camicia da notte color panna, semplice e senza fronzoli, lunga fin sotto il ginocchio, e la adagiò morbidamente sul letto, dirigendosi verso il bagno, dove Eyes si stava spogliando dell’abito. La ragazza si immerse nell’acqua tiepida con un sospiro di sollievo,l asciando che i suoi muscoli si rilassassero e la tensione si allentasse, stiracchiandosi pigramente nella piccola vasca di legno. Erzath si accomodò su una sedia lì vicino, facendo finta di leggere una libro, lanciando sguardi di sbieco ad Eyes, e volgendo lo sguardo non appena la ragazza se ne accorgeva, fingendosi tutta assorta nella lettura. Eyes sbuffò, infastidita, e si posizionò più in alto nella vasca, appoggiando mollemente la testa al bordo “cosa c’è?” chiese, seccata “niente” rispose Erzath alzando le spalle “ e invece c’è qualcosa, confessa, cosa c’è? Ha a che fare” e la ragazza arricciò il naso “ha a che fare con mia sorella?” Erzath posò il libro, cupamente “ne parli come se Shyntia fosse solo un peso o che so io, per te” Eyes sbuffò di nuovo. Non aveva voglia di far un discorso del genere “che dici? Shyntia non un peso,è solo una ragazzina....”la balia scosse la testa “ appunto….tu non puoi soffrire tua sorella perché sei convinta che i tuoi genitori vogliano più bene a lei che a te, anzi, adesso che tuo padre non c’è più, che tua madre voglia bene solo a lei….vero?” e si girò verso la ragazza con un sopracciglio lievemente inarcato, aspettando che rispondesse, incrociando le braccia robuste sul petto. Eyes non rispose subito, rimanendo assorta nei suoi pensieri “forse….e comunque, non posso farci niente, l’affetto non si impone…..” concluse tristemente, giocherellando con l’acqua della vasca. “L'amore di un padre e di una madre è lo stesso per entrambi i figli, Eyes Fanel, ricordatelo….” sussurrò la balia uscendo dalla stanza da bagno.

Eyes la vide andare via, con una espressione triste nei vellutati occhi scuri, e sospirò, fissando il soffitto sopra di lei.  Erzath forse aveva ragione, ma fin da quando aveva cominciato ad avere l’età giusta per capire quello che le stava intorno, aveva cominciato a sospettare che la sorellina minore fosse preferita dai genitori, che l’amassero più di quanto amassero lei. Non ricordava quando aveva cominciato ad essere invidiosa di lei,a  non giocare più con la bambina come faceva prima, non vederla più come negli anni passati…..stava cominciando ad odiarla, seriamente, se non fosse arrivato il ragazzo che poi avrebbe cambiato la sua vita…..il generale Yuia.

Ricordava in ogni minimo particolare della prima volta che l’aveva visto, una mattina d’estate di sette anni prima. Allora, Eyes era un assennata ragazzina di undici anni, che si preparava a diventare una Regina colta ed elegante, regale e gentile in ogni suo comportamento, e Shyntia era una bambolina tenera e rosea di sei anni, testarda e paffuta, che con quei suoi enormi occhioni verde giada sembrava voler guardare tutto e tutti con curiosità e ingenuità infantile, ma che, all’evenienza, sapeva essere testarda e cocciuta come un mulo. Un gruppo di giovani soldati si stava allenando nel cortile della reggia dedicata all’addestramento dei nuovi soldati o ufficiali, ed Eyes, tenendo per mano la sorellina, che saltellava allegramente di qua e di là, felice di poter assistere all’allenamento dei soldati, stava tranquillamente passeggiando, con quel suo portamento regale che sembrava addirittura comico per una bambina di quell’età, quando le grida di Shyntia e i suoi continui strattoni la costrinsero a fermarsi. “Là, là, sorella, andiamo là!” gridava con quella sua vocetta squillante la Principessina, indicando col ditino grassottello due ragazzini dell’età di Eyes che lottavano fra di loro, in un duello amichevole. La ragazza più grande arrossì: entrambi erano a torso nudo, e lottavano sotto il sole cocente, mentre rivoli di sudore scendevano lungo la schiena e sul viso, inzuppandone i capelli. Shyntia batteva le mani gioiosamente, ma Eyes osservava come incantata. Non aveva mai visto un combattimento, prima d’ora, o, almeno, non così da vicino, ed era rimasta come ipnotizzata dai movimenti veloci e scattanti dei due duellanti, dalle loro voci che si incitavano a vicenda, dalla contrazione della membra lucide di sudore……uno dei due ragazzi riuscì, con un abile mossa, a disarmare l’altro, e puntò la propria lama sulla gola del compagno, ansimando. Le due sorelle non potevano vederlo in viso, essendo di spalle, ma anche da dietro riuscivano a vedere che il ragazzo era estremamente soddisfatto della piccola vittoria. Il giovane che era stato sconfitto dal compagno, girò lo sguardo verso di loro, accorgendosi della loro presenza, e il suo viso assunse un espressione sorpresa “Mercha……girati” sussurrò al compagno, fissandole confuso e sorpreso, accennando un piccolo inchino di saluto, mormorando qualche parole di circostanza. Anche Mercha si voltò bruscamente, e nel trovarsi di fronte a Eyes e Shyntia, rimase lì, immobile, come stralunato. Non si accorse nemmeno della presenza di Shyntia, fissando immediatamente lo sguardo su Eyes, e lei fece lo stesso. La sorella, il compagno di Mercha, e il resto del mondo, per lei scomparve, non esisteva più, non c’erano, semplicemente. Era vagamente consapevole della stretta della manina della sorellina nella sua, ma adesso nemmeno quello importava, lo aveva cancellato dalla sua sfera cosciente. Fissava gli stupendi occhi azzurri che stavano di fronte a lei, senza vedere o udire nient’atro. La voce del maestro dei paggi le arrivò lontana, come a chilometri di distanza, ovattata e quasi spettrale, e (e lei ne era sicura), le stessa cosa succedeva al ragazzo che aveva di fronte “vi presento un nostro nuovo paggio, Altezza, Mercha Yuia:è arrivato da poco, ma è già diventato uno dei nostri migliori allievi, farà molta strada…” Mercha fece un piccolo inchino, farfugliando qualche parola di circostanza, arrossendo lievemente “e queste ragazze, Mercha” stava dicendo il maestro indicando Eyes e Shyntia “ sono Eyes e Shyntia Fanel, le figlie di Re Van” Mercha non fece assolutamente caso al titolo nobiliare della ragazza, per lui, quella era semplicemente una angelo, e non importava se fosse di un ceto sociale più alto del suo, e da parte sua, Eyes non udì nemmeno il discorso del maestro, afferrando solo il minimo indispensabile. Una volta, un bardo, nel cantare la storia d’amore dei sovrani di Fanelia, aveva detto che,i n qualunque era o tempo o circostanza i due si sarebbe incontrati, non avrebbero potuto fare a meno di innamorarsi, a prescindere dal loro ceto sociale. La stessa cosa era successa fra Eyes e Mercha. Per loro due, non aveva nessuna importanza che una fosse una Principessa  Reale e l’altro un comune soldato, anche se sarebbe diventato uno dei migliori generali del Regno. Importavano solo i loro sentimenti, nient’altro. Col tempo, presero ad incontrarsi sempre più spesso. Eyes, con la scusa di accompagnare la sorella ad esercitarsi con Mercha Yuia, rimaneva con lui anche quando l‘esercitazione era finita, anche semplicemente stando in silenzio, seduti uno accanto all’altra. Allora, quando si erano incontrati, Shyntia prendeva già da un anno lezioni di scherma, ed erano tre le persone che le insegnavano: suo padre, il cavaliere Allen Shezar e il generale Yuia. E solo col ragazzo Eyes si apriva, a cui raccontava quanto si sentisse inferiore e meno amato della sorellina, come ne soffrisse. “non mi vogliono bene!” aveva sbottato una sera, tra i singhiozzi “io non valgo quanto mia sorella!” Mercha l’aveva presa per un braccio, costringendola a guardarlo in faccia, fissandola con quel suo sguardo penetrante “ non devi dire così” le aveva detto. Eyes era rimasta lì a fissarlo, senza avere nemmeno il coraggio di respirare, per paura che tutto scomparisse all’’improvviso. I loro visi erano vicinissimi, si sfioravano quasi, e lui, lentamente, avvicinò il suo viso al suo, e la baciò. Quella, era il primo bacio per entrambi, e nessuno dei due riuscì mai a dimenticarlo. Da allora, da quella sera in cui si erano baciati, all’ombra degli alberi del giardino, non si erano mai più separati, erano rimasti uniti, pur non potendo farlo alla luce del sole. Dovevano vedersi di nascosto, comportarsi come se non fosse successo niente in pubblico. All’apparenza, Eyes poteva essere sempre la stessa, ma dentro di lei, qualcosa stava cambiando, e per sempre. Ormai, era consapevole di essere gelosa di Shyntia, ma non lo avrebbe mai confessato.

Eyes rabbrividì, riscotendosi dai suoi pensieri. L’acqua era diventata fredda. Uscì dalla vasca, avvolgendosi in una lunga vestaglia e sfregandosi il corpo sia per asciugarsi, sia per cercare di ritrovare un po’ di calore. Tremando di freddo, raggiunse la grande camera attigua alla stanza da bagno, dove cera il suo letto. Erzath stava china sulle lenzuola, sprimacciando i cuscini ricoperti di seta rosa pastello, e nel sentire il passo di Eyes, alzò verso di lei due occhi stanchi e cerchiati, sorridendole debolmente.. “doveva essere molto stanca” pensò la ragazza ricambiando il sorriso. La balia si avvicinò a lei, e l’aiutò a infilare la camicia da notte, in silenzio. Poi, afferrò una spazzola dal comodino di mogano scuro, e lo passò tra i morbidi capelli neri di Eyes, umidi e freddi per il bagno “ti chiedo scusa..” sussurrò, senza alzare lo sguardo. Eyes sorrise “non devi…non ce ne è bisogno…” si girò sorridendo alla balia,a bbracciandola affettuosamente. Il suo corpo sottile e slanciato quasi scompariva tra le curve di grasso dell’opulento corpo di Erzath. La donna le sorrise, accarezzandole teneramente la guancia, afferrò sottobraccio gli abiti della ragazza, ed uscì velocemente dalla stanza, con quel suo passo felino, incredibilmente scattante per una donna della sua età. Eyes rimase qualche istante in piedi in mezzo alla stanza, immobile come una statua, poi rabbrividì. Avrebbe fatto meglio a mettersi a letto “e farei anche meglio a chiudere la finestra, se non voglio prendermi una polmonite” pensò ironicamente, chiudendo la finestra e avviandosi verso il letto.  Si sdraiò fra le coperte calde e morbide come una piuma di pulcino, e chiuse gli occhi, aspettando il sonno…..

Hong Kong, Cina.

Ai tempi del comunismo,l a città era sotto il controllo dagli inglesi, privata del diritto di essere città cinese. A quei tempi, la città era un enorme sobborgo di ricchi e poveri, che si mescolavano fra di loro fra le immense strada sovraffollate. Accanto alle sfarzose ville dei ricchi ,sorgevano le semplici capanne dei poveri, stridendo indicibilmente con l’atmosfera maestosa che le meravigliose ville sfarzose davano a chiunque le ammirasse. La Cina era un paese che cercava di unificarsi, allora, come aveva cercato di farlo dall’inizio del novecento, ma ora….Hong Kong era ufficialmente una città cinese, e nessuno avrebbe potuto dire il contrario. Contava moltissimi abitanti, anche stranieri, e la popolazione sarebbe continuata a crescere, se il governo cinese non fosse intervenuto per bloccare la crescita demografica: le famiglie, non potevano permettersi di avere più di sue figli, a costo di perdere il diritto per la casa.

Chijo sedeva stiracchiandosi pigramente sul divano di casa, un libro posato in grembo, il testo di algebra svogliatamente gettato sul pavimento, il quaderno, pieni di orecchie e scarabocchi, a pochi centimetri di distanza. Socchiudeva gli occhi, per proteggerli dalla luce del sole  nascente. Era l’alba, e la casa era avvolta nel silenzio e nella semioscurità, ma a Chijo importava poco o niente. Le piaceva restare da sola, nel silenzio, a vedere il sole sorgere. Le piaceva ammirare i colori dell’alba, caldi e misteriosi, e vedere la luce schiarirsi piano piano, fino a diventare piena luce mattutina. Non le importava nemmeno di svegliarsi presto. Pensava che non valesse niente perdere tempo a dormire se si perdeva uno spettacolo simile. Sbadigliò, più per svegliarsi completamente che per sonno, e raccolse svogliatamente il libro di algebra, poggiandolo sulla sedia di fonte al divano. Si chinò, protendendosi in avanti, per riuscire ad arrivare al quaderno, ma qualcuno fu più veloce di lei. Chijo alzò gli occhi,s orpresa: non potevano essere Sujin o la madre, perché a quell’ora ci sarebbero volute le cannonate per buttarle giù dal letto, e non poteva essere nemmeno suo zio, visto che non sarebbe tornato che quel pomeriggio. Sua nonna le sorrideva, poggiandosi tranquillamente il quaderno sciupato in grembo, sedendosi sul divano accanto a lei. “Nonna?…” chiese Chijo sorpresa, mettendosi a sedere. La donna sorrise di nuovo, rigirandosi tra le mani il quaderno della ragazza “è sciupato, Chijo…dovresti avere più cura della tua roba..” “che ci fai qui a quest’ora, nonna?” la interruppe Chijo dando un’occhiata all’orologio, poi, ricordandosi della domanda, rispose velocemente: “è solo il mio quaderno di algebra, nonna, lo prendono in mano si e no ventimila persone non so quante volte al giorno, a scuola e a casa…” la donna rise piano “ma non odiavi l’algebra? Mi sembrava che tu non andassi molto bene, a scuola…” Chijo sorrise, passandosi una mano sui capelli spettinati “beh, motivo in più per avere i quaderno disordinati, no? Comunque, lo prendono in mano tante persone solo perché in classe, quando non riesco a farli, mi faccio copiare da qualcuno gli esercizi” e davanti all’espressione dubbiosa della nonna, continuò, cercando di aggiustarsi la camicia di due taglie più grande che usava come maglia del pigiama, lisciandosi il pantalone della vecchia tuta di Sujin, che usava appunto come pantalone per dormire “Il professore, sapendo del mio vizio di, ehm…copiare, mi ha messo al primo banco…” “capisco” disse la nonna posando il quaderno. Chijo tentennò qualche minuto, prima di domandarle cosa ci facesse lì a quell’ora. La donna guardò melanconicamente il sole, con gli occhi lucidi “sai” sussurrò “quando Hitomi è andata via di casa, avevo preso  l’abitudine di svegliarmi presto, di mattina, e di rimanere seduta a vedere l’alba, per stare da sola, mentre tutto il mondo taceva…c’erano tante voci, avevo bisogno di silenzio, ma anche durate il giorno, in una stanza vuota, sapevo che qualcuno parlava, mente all’alba” Chijo chinò il capo, mordendosi il labbro. Sapeva esattamente cosa voleva dire sua nonna, lo aveva passato sulla sua pelle per tre anni “tra due mesi compirò quattordici anni” pensò malinconicamente “ e poi? ” ancora quella domanda,l a tormentava da anni: “e poi?” cosa avrebbe fatto negli anni successivi? A diciott’anni? Non era eccessivamente intelligente, non nelle materie scolastiche, almeno, e l’unica in cui riusciva un tantino meglio era la ginnastica “peccato che la ginnastica, come materia, non conti assolutamente nulla nella vita…cosa mi metto a fare, da maggiorenne? L’insegnante di educazione fisica?” pensò ironicamente. Che avrebbe fatto da adulta? Prendeva già brutti voti a scuola, alle interrogazioni e ai compiti passava per puro miracolo, quanto alla disciplina…..Chijo scosse la testa: non voleva mettersi a pensare a quelle cose ora che c’era sua nonna. Era arrivata da un mese appena, ma già in casa si respirava aria nuova. “Cosa c’è, Chijo?” chiese sua nonna. Chijo sorrise, rivelandoglielo, nonostante non ne avesse molta voglia “non preoccuparti” le disse sua nonna accarezzandole i capelli dorati “ hai appena tredici anni” “quasi quattordici” precisò Chijo “va bene,quasi quattordici…hai tempo per migliorare, no?” la ragazza scosse la testa, poco convinta “non credo, nonna..”.La donna sorrise tristemente, sospirando “e quel tuo amico olandese?” chiese,s orridendo maliziosamente “Wu?” chiese Chijo contrariata. L’altra annuì “è uno stupido” rispose la ragazza, seccata “perché ti chiama Maisawa,s e il tuo cognome è Kanzaki?” chiese curiosa la nonna. ”Perché deve prendermi in giro…usa il cognome di Sujin, perché vuole farmi arrabbiare, dice che sono comica quando mi arrabbio” Chijo divenne paonazza dalla rabbia. La donna sospirò di nuovo, malinconicamente “credo” sussurrò voltando di nuovo lo sguardo verso il tramonto che cominciava a tingersi di un caldo color cremisi “credo che sia arrivato il momento di dartelo…” “cosa vorresti darle?!” tuonò a voce non eccessivamente alta un uomo dietro di loro. Chijo e la nonna si voltarono di scatto trasalendo. La ragazza socchiuse gli occhi, cercando di capire chi stesse parlando “nonno?” chiese, esitante “cosa volevi dare a nostra nipote, Miyuki?” tuonò l’uomo rivolgendosi rudemente alla moglie, che restava immobile senza fare una piega, ferma nel suo proposito, sconosciuto a Chijo “il ciondolo” rispose la donna, calmissima “no!” un ordine netto, preciso, quasi brutale: l’espressione dell’uomo era talmente feroce da far paura, ma Miyuki Kanzaki non si mosse, né si spaventò, si volse verso la nipote, sfilandosi qualcosa dal collo, scostandosi bruscamente i capelli biondo scuro dalla nuca che le impedivano l’operazione,e porse qualcosa a Chijo nel pugno chiuso. Lo sguardo del signor Kanzaki si fece duro e freddo, e distolse seccamente lo sguardo, con rabbia e disgusto. Chijo rabbrividì: come poteva suo nonno comportarsi così? Abbassò lo sguardo verso il pugno di sua nonna, passando qualcosa di caldo e rotondo nel proprio pugno. Al tatto, sembrava un ciondolo tondo o ovale, con una lunga catenina. Aprì il pugno di scatto, ignorando suo nonno che si stava avvicinando furioso, attraversando il soggiorno con un lampo d’ira negli occhi, e si concentrò sul ciondolo che aveva in mano: era di un rosa pallido, a forma di cuore, piccolo, sostenuto da una catenina d’oro sottile “cos’è?” chiese alzando lo sguardo verso la nonna, che la fissava sorridendo “tua zia me lo diede prima di andare via, mi disse che ci avrebbe sempre unite…..è una copia di un ciondolo che le aveva dato sua nonna..” gli occhi le si riempirono di lacrime. Chijo abbassò di nuovo lo sguardo verso il ciondolo, con le lacrime agli occhi. Non sapeva nemmeno lei perché stava piangendo, ma sapere che stringeva fra le mani qualcosa che sua zia aveva creato prima di andarsene, le dava una fitta al cuore. “Zia....” sussurrò mentalmente.

Un attimo prima che suo nonno piombasse su di lei per strapparle di mano il ciondolo, una strana luce la avvolse, spingendola verso l’alto. I suoi nonni osservarono la scena a bocca aperta, afferrandola istintivamente per la camicia, nel tentativo di bloccarla, le gole strette in una morsa di terrore, ma la colonna trasportò anche loro, sparendo così come era apparsa, lasciando il vuoto dietro di sé…….



CAPITOLO-3
Chijo schiuse gli occhi quasi di malavoglia, osservando con le palpebre socchiuse quanto le stava intorno. Il sole penetrava fiocamente fra le fronde degli alberi, illuminando scarsamente la zona attorno a lei. L’aria fresca e umida le diceva che era ancora mattina presto, e il leggero odore di mare a di sale le arrivava alle narici, pizzicandole il naso. “il mare?” pensò sollevandosi su un gomito, scostandosi di dosso terriccio e rami secchi e umidi “ma…prima non eravamo in riva al mare, ora si…ma che diavolo….?” Chijo si bloccò di colpo. Un rumore. Un rumore di…zoccoli? “ho le allucinazioni” si disse stropicciandosi gli occhi “ ho…le…allucinazioni” ripetè lentamente, sentendo il lieve scalpitare farsi sempre più vicino. Non sapeva nemmeno se era pericoloso o no, sapeva solo che si stava avvicinando rapidamente.

almeno fossi in grado di capire quanti sono, e invece ci riescono solo nei film, ma guarda un po’!” Chijo rise leggermente. Quelle erano le solite battute che faceva Pao. Aveva l’abitudine di dire sempre quella frase, quando gli capitava qualche guaio, era un vizio che, a quanto diceva Lin, che lo conosceva da una vita, aveva sempre avuto. Tutto, per lui, poteva essere comparato agli episodi che seguiva in televisione. Poteva sembrare che vivesse unicamente per i programmi televisivi, ma chi lo conosceva bene sapeva che Pao lo faceva soltanto per avere qualcosa da dire. “Avere qualcosa da dire”, per Pao, era la cosa più importante che poteva esserci al mondo. Un lieve fruscio accanto a lei interruppe i suoi pensieri, facendola sussultare. Suo nonno si alzò a sedere con un grugnito, prendendosi la testa fra le mani, borbottando qualcosa di incomprensibile “dove siamo?” chiese, rivolto a Chijo, guardandosi intorno “non lo so” rispose lei, tendendo di nuovo l’orecchio. Il rumore, o qualsiasi cosa fosse, si era fatto vicinissimo, calcolò che doveva trovarsi si e no a uno, massimo due o tre metri di distanza. Le unità di misura non erano mai state il suo forte, ma in una situazione del genere le bastava dar retta ai suoi sensi. Non aveva tempo per mettersi a fare calcoli. Suo nonno si era ormai seduto, e ascoltava anche lui il rumore di zoccoli in vicinanza, con gli occhi sgranati. Scosse la moglie, che era distesa accanto a lui, e la costrinse a sedersi, stringendola forte a sé per un braccio. Rimasero tutte e tre immobili e silenziosi ad ascoltare ogni minimo rumore attorno a loro. Chijo sussultò. Aveva sentito delle voci. Si sporse leggermente in avanti, e avanzò carponi cercando di non fare rumore verso un cespuglio che si trovava di fronte a lei, mentre suo nonno sussultava, inducendola con lo sguardo a tornare immediatamente indietro, ma Chijo lo ignorò completamente, e si posizionò il più comodamente possibile fra l’erba, osservando muta la scena che le si presentava dinanzi. Quattro uomini a cavallo erano fermi fra gli alberi, immobili, come se fossero in attesa di qualcosa, ritti e silenziosi, con le orecchie tese ad ogni rumore del bosco. Uno di loro avanzava avanti e indietro con il suo cavallo, perlustrando i cespugli, avvicinando il naso dell’animale all’erba fresca, tutto assorto nella tua ricerca. Gli altri stavano attenti alle sue spalle, tendendo occhi e orecchie attorno a loro “sembra che stiano cercando qualcuno” riflettè Chijo ingoiando il groppo che aveva alla gola, cercando di frenare i battiti velocissimi del suo cuore. Il cavallo si stava avvicinando lentamente al punto in cui si trovava lei, ancora pochi metri, e si sarebbe trovata a faccia a faccia con l’animale e il suo cavaliere. Era pericoloso stare lì,e lo sapeva, ma, se si fosse mossa in quel momento, gli uomini dall’altra parte l’avrebbero scoperta, sentendo il fruscio fra le fronde “idiota!” si rimproverò, stringendo furiosamente le labbra e trattenendo quasi il respiro “ti sei andata a ficcare proprio in mezzo al cespuglio, così basta che ti muovi di un millimetro e le foglie si muoveranno, quelli ti scopriranno e tu sarai nei guai fino al collo, complimenti! E adesso, che faccio?!” deglutì di nuovo, ma si bloccò di colpo, sbiancando. Rapidamente, si voltò verso i cavalieri, senza far rumore, con il cuore che le batteva all’impazzata, sperando ardentemente che non l’avessero sentita. Ma per fortuna, stavano parlando fra di loro a bassa voce, e quindi, non avevano sentito niente. Chijo sospirò di sollievo, sentendosi quasi svenire, ma di nuovo si bloccò a metà, trattenendo il respiro. Si concentrò sulle voci dei cavalieri, e riuscì a sentire distintamente qualche frase, nel silenzio che regnava nel bosco “trovato?” stava chiedendo uno degli uomini al compagno che stava perlustrando i cespugli “no” rispose bruscamente l’altro “scusa tanto se ti disturbo!” gli disse l’altro storcendo il naso. Il compagno si voltò verso di lui con un espressione furente, ma un altro uomo intervenne placando gli animi. Il soldato che aveva parlato per prima sbuffò, annoiato “perché accidenti il Principe ci ha mandato a cercare uno sconosciuto all’alba? Non poteva aspettare la mattina? Non sa nemmeno chi sia questo misterioso individuo!” il compagno che gli aveva bruscamente risposto prima alzò le spalle, guardando intorno “avrà avuto i suoi buoni motivi, e comunque che cosa potevamo fare noi se non obbedire?” Sussultò improvvisamente, sgranando gli occhi. Aveva sentito un ramo secco scricchiolare “qualcuno di voi ha calpestato un ramo o qualcosa del genere?” chiese, rivolto ai compagni, ma tutti si guardarono l’uno l’altro, scotendo negativamente la testa.

Il soldato sorrise “allora lo abbiamo trovato”

“accidenti!” pensò Chijo mordendosi il labbro. Si girò, e vide sua nonna, col viso sbiancato, tra le braccia del marito, che la fissava terrorizzata “ho…calpestato un ramo..” balbettò alla rinfusa. Chijo sentì il cuore sussultarle in gola, ma non ebbe nemmeno il tempo di muoversi, che sentì un ventata di alito caldo e fetido sulla nuca. Indietreggiò con un balzo, strisciando con le mani fra l’erba e il terriccio, fissando gli occhi nei che le stavano di fronte, scorgendo appena i visi degli altri cavalieri che seguivano l’uomo che le stava di fronte, sentendosi quasi svenire. Alzò lo sguardo verso il cavaliere, e questi le sorrise gentilmente, porgendole una mano guantata per darle una mano ad alzarsi. Chijo per poco non svenne, fissando l’uomo con i suoi occhi verde giada, sconvolta “non abbiate paura” le disse gentilmente lui, avvicinando ancora di più la mano “non voglio farvi del male” Chijo deglutì, rilassandosi leggermente. Fece un respiro profondo, e chiese coraggiosamente “come posso fidarvi di voi e dei vostri uomini? Chi siete? Dove siamo? Perché ci cercate? Per conto di chi?” l’uomo le fece segno di calmarsi, divertito “calmatevi, ragazza, risponderò ad ogni vostra domanda” sorrise di nuovo, e scese da cavallo, avvicinandosi alla ragazza. Lei sussultò, ritirandosi istintivamente. Lui la prese per un braccio, e la aiutò ad alzarsi, piantandole gli occhi neri nei suoi. “siete a Freid, signorina, in un bosco al confine. Siamo qui per conto del Principe. Ha visto lui stesso una colonna di luce da queste parti,e ci ha chiesto di venire qui a controllare. Purtroppo, non so perché si sia preoccupato tanto” inarcò di lato la testa, scrutandola, cercando di capire se lei poteva rispondere a quegli interrogativi, ma nulla nello sguardo di lei potè dirgli qualcosa. Chijo lo fissava incantata, a bocca aperta, sconvolta “Freid…?” balbettò. “Freid?”si disse “cos’è Freid? Io non ne ho mai sentito parlare! Ma dove ci troviamo?” l’uomo la fissò disorientato, inarcando un sopracciglio. Uno sbuffo di un soldato lo riscosse, e si affrettò a caricare Chijo sul suo cavallo, senza lasciarle il tempo di pensare. Si voltò indietro,e solo allora si accorse dei nonni di Chijo, seduti per terra, che guardavano stravolti dalla loro parte. Il nonno della ragazza lo guardava con espressione guardinga, stringendo a sé la moglie nel tentativo di proteggerla “voi” dichiarò, puntando un dito contro il cavaliere “voi non porterete mia nipote da nessuna parte, senza il mio consenso, chiaro?” i soldati si scambiarono sguardi confusi tra di loro, alzando le spalle, ma ciò provocò soltanto l’ira del signor Kanzaki “sua nipote?” chiese il soldato che aveva trovato Chijo, voltandosi verso quest’ultima con espressione interrogativa “si, mia nipote!” esclamò l’altro, rabbioso “voi e i vostri uomini non porterete lei e mia moglie da nessuna parte! In realtà noi non dovevamo nemmeno essere qui! Scommetto che è stata quell’irresponsabile di mia figlia a farci finire in questo guaio! Lei, quel ragazzo sconosciuto a cui darei volentieri una bella lezioncina di educazione, e quello stupido ciondolo!” Miyuki Kanzaki lo prese per un braccio, con sguardo implorante, sussurrandogli sommessamente di non aggiungere altro. Chijo chiuse gli occhi. Ancora. Suo nonno non si era lasciato sfuggire l’occasione di gridare ai quattro venti i “peccati” di Hitomi Kanzaki. Del resto, da quando lei se ne era andata, lo aveva sempre fatto. Non passava giorno che non lanciasse maledizioni a quel ragazzo misterioso che aveva portato via Hitomi alla sua famiglia. Chijo aveva cominciato a pensare che il nonno, più che con la figlia, ce l’avesse col ragazzo che gliela aveva portata via “ma non si può continuare così per sempre accidenti!” pensò Chijo “adesso basta! Si è sfogato? Lo ha maledetto? Bene! La storia finisce qui! Non c’è bisogno di continuare queste eterna crociata!” aprì gli occhi,e fissò il viso rabbioso e paonazzo di suo nonno, sospirando “non cambia idea nemmeno sotto tortura” scosse la testa “inutile” sentenziò, lasciando cadere l’argomento.

“noi non abbiamo la minima intenzione di fare del male a voi,a vostra moglie, o a vostra nipote, siamo qui per..” ma non potè continuare, interrotto dal vecchio “non raccontare fandonie, ragazzo! Sono nato prima di te” 

“nonno!” replicò Chijo esasperata “i signori qui presenti non hanno voglia di sentire le tue opinioni sui giovani d’oggi” 

“oh le ascolteranno, invece!”si intestardì suo nonno “le sentiranno eccome!e guarda che ho molto da ridire anche su di te, signorinella” e puntò di nuovo il dito contro la nipote “e sulla zia, e su quel ragazzo, e su quello che è successo….quanto tempo fa? Vent’anni? Smettila di vivere nel passato, nonno, pensa al presente, ormai è fatta, non c’è bisogno di serbare tanto rancore, a che serve?”  già, a che serve?

Una voce giovanile li interruppe “che succede qui?”

Una ragazzo a cavallo li raggiunse, cavalcando elegantemente il proprio animale, avanzando piano fra i presenti. Chijo sgranò gli occhi. In vita sua, non aveva mai visto un ragazzo che avesse un aspetto così….regale. Regale, era la parola giusta, per quel ragazzo che avanzava sicuro, i capelli d’oro, chiari quanto i suoi, che volavano attorno al viso delicato, dai lineamenti sicuri, gli occhi azzurri che scintillavano alla fioca luce solare che penetrava fra gli alberi. Lasciò vagare lo sguardo sui soldati, che si inchinarono rispettosamente, sorpresi, ai signori seduti ai piedi dei cavalli, alla ragazza bionda sul cavallo. Posò lo sguardo su di lei, l’espressione impassibile che cambiava in sorpresa. Quegli occhi. C’era una sola persone che conosceva, che avesse quegli occhi. Chijo alzò lievemente un sopracciglio, infastidita. Aveva sempre odiato essere fissata dai ragazzi, mentre sua cugina Sujin lo trovava delizioso, addirittura divertente. Chijo l’aveva sempre considerata un ragazza superficiale, un oca senza cervello che non era capace di fare le proprie scelte. E l’aveva disprezzata per questo. Ma lei, Chijo Kanzaki, non aveva mai potuto soffrire gli sguardi che i ragazzi, e a volte anche le persone più anziane, le lanciavano guardandola, seguendola con lo sguardo quando faceva il suo ingresso in una stanza, finchè non ne usciva, sospirando di sollievo, lieta di essersi liberata di quegli sguardi che sembravano strisciarle sulla pelle come sanguisughe. Con tutto che le sanguisughe l’avevano sempre affascinata, non sopportava essere fissata  “beh?” chiese in tono neutro al ragazzo “che c’è da guardare? Mai vista una ragazza in vita tua?” i soldati si scambiarono di nuovo sguardi allibiti: come poteva quella ragazzina osare parlare in questo modo al Principe?. Il ragazzo sorrise, inchinandosi leggermente “avete ragione, non dovrei, sono stato scortese, ma i vostri occhi mi ricordano quelli di una persona” Chijo lo osservò incuriosita “ah si?” Il ragazzo annuì, voltandosi verso i soldati, dando loro ordine di portare quelle persone al palazzo il più in fretta possibile. Questi si inchinarono di nuovo, e si affrettarono ad eseguire gli ordini. Caricarono Miyuki ed il marito sullo stesso cavallo, legandoli saldamente alla sella per impedire loro di cadere, e aspettarono un segnale da parte del ragazzo biondo per partire.

Lui fece un rapido gesto con la testa, e voltò il cavallo, avviandosi per primo. La voce di Chijo lo fece voltare “aspettate!” Chijo si morse la lingua. Era la prima volta che dava del voi ad un ragazzo della sua età. “potreste dirci almeno chi siete?” il ragazzo ridacchiò, facendo andare su tutte le furie la ragazza “beh? È tanto divertente?” lui ridivenne immediatamente serio “se mi direte il vostro nome, io vi dirò il mio” Chijo tentennò qualche minuto, indecisa, dondolandosi sulla sella, e finalmente fece segno di si con la testa, piuttosto contrariata. Certo non aveva voglia di andare a rivelare gli affari a quello sconosciuto, ma capiva che, se non l’avesse fatto, probabilmente sarebbe andata incontro all’ira del Principe, e di certo non ci teneva, in questo momento aveva già altri problemi da risolvere. “sono Cedrick Freid” annunciò solennemente il ragazzo “Erede al trono di Freid, e voi vi trovate sul mio territorio. Verrete condotti al mio palazzo, e lì sarà deciso cosa fare di voi. Naturalmente, cercheremo di sistemarvi nel migliore dei modi..” 

“naturalmente..” gli fece eco il signor Kanzaki in tono incolore. Cedrick non fece caso all’uomo, e si rivolse alla ragazza “e voi? Come vi chiamate?” lei si inumidì le labbra “Chijo” rispose “Chijo…..?” chiese Cedrick inarcandosi lievemente in avanti. Chijo rimase ferma e in silenzio, apparentemente sorda alla domanda. L’altro rimase fermo per un po’, ma alla fine lasciò cadere l’argomento. Se Chijo non voleva dirgli il suo cognome, erano affari suoi. Il ragazzo rimase immobile, con la mente altrove per un po’, ma si riscosse, ricordandosi d’improvviso del resto della compagnia “e voi?” chiese, rivolto ai nonni di Chijo “Miyuki e Koichi” rispose sommessamente la donna. Lui annuì di nuovo, poi fece segno agli altri di muoversi, e spronò il cavallo al galoppo, seguito dagli altri.

 

 

Fanelia, un mese prima.

L’alba spuntava, fredda e ventosa, sul Regno, i raggi cremisi del sole si perdevano per campi verde smeraldo, tingendoli del suo caldo colore. Un aria di pace e serenità aleggiava nell’aria fresca e tranquilla, silenziosa come i boschi dei draghi di notte. Ma se il paesaggio era sereno e allegro, non lo erano gli animi.

Non c’era un solo abitante di Fanelia, quel giorno, che rispecchiasse nel proprio viso la bellezza e la serenità del luogo.

Quello, per Fanelia, era giorno di lutto profondo.

Una piccola processione si dirigeva lentamente verso la collina in cui si ergeva il tempio commemorativo della famiglia Fanel, trascinando una bara di legno scuro che recava il corpo ormai senza vita del Re di Fanelia, retto da una mezza dozzina di contadini piangenti e a testa bassa, seguiti dalla famiglia e dagli conoscenti più stretti.

Hitomi camminava eretta e fredda, fissando con occhi vacui ed lucidi di lacrime il feretro, tenendo per mano Shyntia, che avanzava a testa bassa, trascinandosi dietro la madre, con gli occhi chiusi con forza. Eyes si voltò verso la sorella, notandone l’espressione sofferente, e si chinò su di  lei, posandole una mano sulla spalla e scrollandosi dal viso il velo nero che le impediva di parlare liberamente “che succede, sorella? Non stai bene?” lei scosse la testa, tenendo gli occhi chiusi.

“non è questo…” sussurrò flebilmente, al punto che, per sentirla, Eyes dovette inarcarsi verso la sua bocca “e allora cosa c’è?” chiese, preoccupata, fissandola “è che…..io lo sto vedendo…”

Eyes sussultò “cosa?cosa stai vedendo? Papà?” Shyntia scosse la testa con irritazione “no, io vedo il giorno in cui ci sono stati i funerali di Goau Fanel, e quelli di Varie…e di Folken…e sento la sofferenza di tutti quelli che sono stati presenti…” aprì gli occhi di scatto, sentendosi quasi vacillare vedendo sotto di sé la terra che si muoveva, e alzò gli occhi spalancati verso la sorella “io vedo TUTTO, ti rendo conto? Tutto, letteralmente perfino…perfino i cadaveri…tutto” gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre la parola le rimbombava nella mente insistentemente, insieme a tutte quelle immagini di funerali, di cadaveri, si sofferenza, di morte...era tutta la mattina che lo vedeva, e quelle immagini tornavano a tormentarla ogni volta che anche una sola, singola cosa che accadeva nel presente, era simile a un avvenimento accaduto in passato.

Le bastava anche solo sbirciare la bara, che immediatamente l’immagine della bara di Goau Fanel le appariva nella mente, un solo sguardo a sua madre che seguiva con occhi lucidi i funerali, e a lei si sovrapponeva l’immagine di Varie Fanel….tutto, dal paesaggio, a sua madre, alla bara, la gente, perfino sua sorella, tutto le provocava continue visioni, che la stremavano e la colpivano con la stessa violenza di un fulmine. Non poteva evitare di avere visioni, non sapeva assolutamente se, e come avrebbe potuto farlo, ma sentiva che non sarebbe riuscita a reggere di questo passo, per tutta la durata della cerimonia.

Ormai, la testa le doleva terribilmente, le gambe non la reggevano quasi più, aveva gli occhi terribilmente pesanti, e si sentiva così stanca….ogni nuova visione, le portava via sempre più energia. Ormai, era allo stremo.

Hitomi le passò un mano sulla fronte calda, ritirandola immediatamente indietro come se si fosse scottata. Si fermò su due piedi, mettendosi di fronte alla figlia, afferrandola per le braccia, e osservando il volto pallido, gli occhi febbricitanti, le guance infuocate, le labbra secche e violacee, sentendosi mancare il respiro, affiancato da Eyes. Strinse forte a sé Shyntia, chiudendo forte le palpebre, pregando ardentemente che la ragazza non si fosse ammalata della stessa malattia del padre, sentendo la figlia farsi sempre più leggera, sentendola quasi scivolare fra le sue braccia, come un peso morto.

“Shyntia…..” sussurrò, passandole una mano fra i morbidi capelli mielati, legati strettamente sulla nuca, ingoiando forte per non piangere di nuovo. Una donna vestita di scuro si affrettò accanto alla Regina, prendendo fra le braccia la Principessina, passandole una mano sul volto esangue, spaventata. Gli occhi blu cobalto scrutavano terrorizzati la padroncina, pieni di lacrime, i capelli rosa pastello, sciolti, le scivolavano dalle spalle, finendo quasi sul viso della ragazzina che reggeva fra le braccia, con tanta cura da sembrare che stesse tenendo una preziosa bambola. Alzò uno sguardo speranzoso verso Hitomi, chiedendole in un sussurro soffocando che soltanto la donna udì “non sarà…” lei la zittì, posandole una mano sul braccio, pallidissima in volto. La gente attorno a loro si era bloccata di colpo, distribuendosi in semicerchio attorno al gruppetto, sussurrando fra di loro.

Shyntia fece una smorfia, contrariata “sto bene, non preoccupatevi…” ma Hitomi e la donna-gatto non parvero convinte, continuando a tenerla stretta per il braccio “ho detto che sto bene, non è niente…” insistè lei, caparbia, voltando lo sguardo dall’una all’altra con un espressione che voleva dire: “non mi credete, forse?”

Hitomi la prese per un braccio, passandole un braccio attorno alle spalle, trascinandola quasi di peso verso la strada che conduceva al castello, ma Shyntia la bloccò “voglio arrivare fino alla fine della cerimonia” annunciò, fissando la madre con sguardo di sfida “no, Shy, tu no stai bene” obbiettò l’altra con calore “io sto bene!” insistè Shyntia, dando uno strattone alla mano della madre “voglio arrivare fino alla fine, è un mio diritto! Poi potrai portarmi dove ti pare…” ripetè la ragazzina senza scomporsi. La donna sospirò, sconfitta, e fece segno con la mano di continuare pure, se voleva. Shyntia si voltò, decisa, riprendendo la strada che stava seguendo il feretro, voltandosi indietro per fare segno alla madre di seguirla.

Hitomi raccolse le pieghe delle gonne, con un sospiro, raggiungendo la figlia, seguita dalla donna-gatto, che lanciava sguardi di apprensione alla Principessa dal fitto velo che le copriva gli occhi e i capelli rosa.

Shyntia si voltò bruscamente, fissando il feretro quasi con timore, sospirando di sollievo quando si accorse che non aveva avuto visioni, stavolta. Si incamminò a passo svelto, per tenere il passo della processione, sorridendo tristemente ai contadini che si inchinavano nascondendo i visi rigati di lacrime al suo passaggio, ma all’improvviso dovette bloccarsi, colpita da una fitta improvvisa al petto. Si sentiva come se qualcuno le avesse infilzato una lama rovente nel torace, e adesso spingesse in dentro la lama, provocandole un dolore atroce. Alzò uno sguardo velato di lacrime al cielo, vedendo le nuvole e il sole sorgente tremare, divenendo quasi acquosi “no, no ti prego…” sussurrò tra le lacrime, stringendo le braccia attorno al corpo in un tentativo di auto protezione.

Ma niente servì ad evitarle un'altra visione. Vide di nuovo quel gruppo di persone, piangenti e sofferenti, che seguiva una bara, e una donna, che teneva per mano un bambino piccolo, che si guardava intorno senza ben capire cosa stesse succedendo attorno a lui, e un ragazzo quindicenne che teneva il viso abbassato, così che lei non poteva vederne l’espressione.

Di nuovo sentì i sentimenti di tutta quella gente colpirla con la stessa violenza di uno schiaffo, e si sentiva quasi soffocare, si sentiva cadere in un baratro rovente, dove gli stessi atomi dell’aria erano caldissimi. Respirava un calore immane, e si sentiva quasi scoppiare….riaprì gli occhi di scatto, portandosi una mano al viso per proteggersi dalla luce del sole nascente, che le accecava la vista. Guardandosi attorno, di accorse che la cerimonia era finita, e ormai la gente se ne stava andando, tornando alle proprie case per vivere la loro giornata, che sarebbe stata sicuramente, per ognuno, diversa dalle altre. Sua madre era accanto a lei, e osservava con sguardo spento il paesaggio, con la mente persa altrove.

Shyntia si voltò istintivamente, puntando lo sguardo esattamente di fronte a lei, e si accorse che lo sguardo di un uomo, ritto esattamente di fronte a loro, con le mani dietro la schiena, le stava fissando, al riparo di una albero, con accanto un ragazzo che sarebbe dovuto essere suo figlio.

“deve essere un nobile…” riflettè Shyntia, osservandolo: il suo abbigliamento e quello del ragazzo che lo accompagnava lasciavano chiaramente intendere che i due dovevano essere agiati, un contadino o un plebeo non avrebbero mai potuto indossare abiti così sfarzosi, e oltretutto, come Shyntia ebbe modo di notare, non andavano in giro con carrozza e servi a seguito. L’uomo, accorgendosi dello sguardo curioso della Principessa, le porse un sorriso affettato, che la ragazza giudicò immediatamente irritante, e si avviò nella loro direzione, camminando alto ed eretto come un fusto, tirando fuori una mano da dietro la schiena, dondolandola elegantemente sul fianco, lasciando l’altra morbidamente ripiegata dove si trovava, in una posa che rubò un sorrisino divertito a Shyntia.

Hitomi non si accorse di lui, troppo persa nei suoi pensieri, ma Allen Schezar aveva corrugato la fronte, e si era avvicinato a lei con espressione tra l’infastidito il disgustato, sussurrandole qualcosa all’orecchio. La donna si voltò verso di lui, e annuì tacitamente, voltandosi a un cenno del cavaliere verso il bell’uomo che si stava avvicinando.

“un bell’uomo, no?” una voce alle sue spalle fece sobbalzare Shyntia, che si girò di scatto: Merle stava di fronte a lei, sorridendole con gli occhi lucidi, posandole una mano felina sulla spalla. I capelli rosa pastelli le incorniciavano il viso, che si era mantenuta piccolo, legati in una morbida treccia che le scendeva sulle spalle coperte dal mantello scuro, arrivandole quasi ai fianchi. La fissava con quegli occhi color cobalto, rimasti immutati nel corso degli anni, con un luccichio malizioso e doloroso contemporaneamente, leggermente china su di lei. “anche se sempre un asta di legno, è molto affascinante, vero?” Shyntia storse il naso, fissando di sottecchi l’oggetto della loro discussione, che si era inchinato pomposamente davanti a sua madre, ripiegando un braccio sotto il ventre, e allargando l’altro verso l’esterno in una posa teatrale, con in viso un espressione talmente comica, che Shyntia dovette sforzarsi non poco per non ridere “è solo un pagliaccio” sentenziò, girandosi di scatto e portandosi una mano alla bocca per non ridere in faccia allo sconosciuto “ma guardate come sa fare bene il baciamano!” esclamò a voce non troppo alta Merle, con una nota divertita nella voce, osservando costernata il “pagliaccio” che si chinava a baciare la mano della Regina con un gesto, agli occhi delle due, terribilmente comico.

E nessuna delle due riuscì a trattenere una risatina semi-soffocata notando l’espressione tra il divertito, il disgustato e il sorpreso di Hitomi, che teneva strette le labbra per evitarsi di sorridere. L’uomo notò la risatina di Merle e di Shyntia, e si voltò verso di loro, offeso: “come mai ridete, madamigelle? Cosa va aprire in un sorriso le vostre bocche di rosa?” la gattina e la ragazza si portarono una mano alla bocca, chinando a terra la testa, colpite da un nuovo attacco di risa che riuscivano a stento a dominare, le spalle che tremavano e gli occhi lacrimanti per lo sforzo “se vi abbiamo offeso” cominciò Shyntia con un inchino, trattenendo il respiro per impedirsi di ridere “ce ne dispiace davvero molto, signore…?” e la ragazza gli sorrise dolcemente, inarcando un sopracciglio biondo e protendendosi in avanti. L’altro si inchinò nuovamente, ricambiando il sorriso “sono il sovrano di un Regno che spero sarà sempre alleato alla splendida terra che ha avuto la fortuna di ospitare una fanciulla tanto leggiadra, milady” Shyntia mollò di nascosto un calcio a Merle, che si era di nuovo coperta la bocca con la mano, e rispose con tono affettato: “e potrei sapere, di grazia, quale sarebbe questo vostro Regno che sperate essere sempre nostro alleato?”

“Aretia, mia dea, e quel giovane sotto l’albero, che non ha avuto il coraggio di venire al vostro grazioso cospetto e a quello della bellissima vostra regina, milady, è mio figlio  Mikel” L’uomo sorrise nuovamente, facendo segno al figlio di venire avanti con un gesto elegante della mano.

“il solito pallone gonfiato….peccato che abbia i capelli castani, gli occhi neri…se avesse avuto lunghi riccioli biondi e occhi azzurri sarebbe stato un perfetto principe azzurro da camera…l’unico punto a suo favore sono i baffi!” e posò lo sguardo sui curatissimi baffetti castani del Re, che egli metteva in mostra con continui e irritanti sorrisini ipocriti.

“piacere di conoscervi, signorina…” il ragazzo si inchinò profondamente di fronte ad Eyes, che era rimasta in disparte, osservando contrariata le sdolcinate attenzioni del Re di Aretina per la sorella minore, baciandole la mano più con passione che con l’eleganza affettata del padre. Proprio questi, prendendo una mano della Principessina di Fanelia fra le sue, e posandovi sopra un languido e leggero bacio, chiese sommessamente, fissandole con occhi che sembravano volerla trapassare da parte a parte: “posso sapere quale meraviglioso nome il Fato ha destinato a una simile fata?” Shyntia storse il naso, fissando di sottecchi la madre che osservava trattenendo a stento il volume dei sogghigni, coprendosi a bocca con la mano, e asciugandosi di tanto in tanto le lacrime che le scendevano dagli occhi. “Shyntia…” rispose la ragazza, tentando con dolcezza di liberare la propria mano dalla morsa dell’uomo, e riuscendoci a fatica, sbirciando velocemente dietro di sé, vide la sorella in una situazione simile: il Principe Mikel le teneva la mano, la bocca posata a pochi centimetri di distanza, senza lasciar intendere di volerla lasciare, mentre la ragazza tentava disperatamente di liberarsene e di correre via.

“Shyntia Fanel…Principessa di Fanelia” concluse costringendosi a porgere nuovamente attenzione al Re, che sorrise per l’ennesima volta, facendole venire una voglia insostenibile di far levitare uno dei vasi che erano posati a terra e di farlo cadere su quel ghigno insopportabile che l’uomo continuava insistentemente a mostrare “chissà, magari una ruota infossata gliela regalo…non credo che con la sua incredibile intelligenza potrebbe arrivare alla causa…” pensò divertita, guardando il Re raddrizzarsi, dopo quello che a lei era sembrato un tempo interminabile, e rivolgersi a sua madre, che si affrettò a raddrizzarsi e a rivolgergli lo sguardo più interessato che le riuscì di assumere “vostra figlia diventerà una delle fanciulle più belle dell’intero piante, maestà, abbiatene cura, e abbiate cura di ricordavi di me medesimo, vostro umile servo, disposto alla vita per qualunque vostro desiderio” si portò una mano di Hitomi alle labbra, e vi posò un bacio appena accennato “domandate, e io farò il possibile per darvi tutto ciò che desiderate…e la cosa, naturalmente, vale anche per voi, lady Shyntia” si inchinò ad entrambe, richiamò con un cenno il figlio, che si accomiatò riluttante da una sollevata Eyes, e si avviò con lo stesso passo regale di prima verso la propria carrozza, mandando un saluto militare dalla finestrino quando la vettura sparì all’orizzonte.

 

Fanelia, un mese dopo

“qualcosa non va?” Mercha si girò su di un fianco, passando un braccio attorno alla vita di Eyes, posando il capo sul suo, voltato verso la finestra dalla quale si ammirava una splendida alba cremisi, un espressione pensosa nei profondi occhi neri.

“no…” sussurrò, continuando a restare distesa, senza voltarsi “stavo solo pensando…” Mercha la strinse ancora di più a sé “a cosa? A tuo padre?” lei scosse la testa “no… alla famiglia di mia madre sulla Luna dell’Illusione…oggi Shy a pranzo, ha sollevato di nuovo la questione “famiglia della mamma”…pensavo a loro, a cosa potrebbe essere successo..magari mio zio si è sposato e ha avuto dei figli…chissà? Mi sono resa conto che non conosco le famiglie di nessuno dei miei genitori…”

“è logico” rispose Mercha scostandole i capelli dalla nuca “ma io non conosco la famiglia di mia madre!” si lamentò lei, interrompendolo: sapeva già cosa le avrebbe detto.

Lui alzò le spalle, senza risponderle, e lei lasciò cadere l’argomento, fissando di nuovo l’alba che adesso si tingeva di un colore sempre più acceso…un brivido…la fece sussultare lievemente. Aveva una stranissima sensazione. Era come se sapesse che un parte remotissima di lei fosse là fuori, da qualche parte, e avesse bisogno di aiuto, perché non sapeva cosa fare…ma non vide niente. Anche lei, come Shyntia, poteva avere delle visioni, anche se le capitava molto più raramente, ma stavolta non vide niente: sentì solo una strana sensazione di completezza, si sentiva completata, come se fosse all’improvviso arrivato un pezzo del puzzle che era la sua vita, che l’avrebbe resa immensamente felice…

“chissà cosa sta succedendo…”

 

Shyntia fissò l’alba tingere di rosso intenso le valli smeraldine di Fanelia, pensierosa. Pensava la stessa cosa che in quel preciso istante pensava Eyes: la famiglia della madre, e anche lei come la sorella, si rese conto che non conosceva le famiglie dei genitori, nessuno, a parte Merle.

Anche lei sentì quel brivido, ma non vide niente ne udì alcuna voce, niente. Sentiva solo che qualcosa che faceva parte di lei si trovava lì fuori, e chiedeva aiuto; cosa, non lo sapeva proprio…

Chissà perché si sentiva così…chissà…



Probabilmente la fanfic non verrà terminata da Kir@...provate a convicerla voi!